Sulla carenza di legittimazione dell’operatore economico, a cui è impedito di prendere parte alla procedura ad evidenza pubblica con decisione passata in giudicato, a contestare la successiva aggiudicazione dell’appalto

Commento a Corte di giustizia dell’unione europea, sez. X, 9 febbraio 2023, n. C-53/22

14 Marzo 2023
Scarica PDF Stampa
Modifica zoom
100%
Corte di giustizia dell’unione europea, sez. X, 9 febbraio 2023, n. C-53/22

Rinvio pregiudiziale – procedura ad evidenza pubblica – direttiva 89/665/CEE – direttiva 2014/24/UE – carenza di requisiti – contestazione del bando – rigetto del ricorso prima dell’aggiudicazione della gara – pronuncia passata in giudicato – accordo anti competitivo – intesa restrittiva della concorrenza – art. 101 TFUE – provvedimento sanzionatorio dell’AGCM – art. 80, comma 5 Codice dei contratti – rifiuto di annullare l’aggiudicazione – legittimazione a impugnare –- non sussiste

 L’articolo 1, paragrafo 3 della direttiva 89/665/CEE del Consiglio del 21 dicembre 1989 deve essere interpretato nel senso che:

 esso non osta alla normativa di uno Stato membro che non consente a un operatore, al quale sia impedito di partecipare a una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico per il motivo che egli non soddisfa una delle condizioni di partecipazione previste dal bando di gara di cui trattasi, e il cui ricorso contro l’inclusione di tale condizione in detto bando di gara sia stato respinto con una decisione passata in giudicato, di contestare il rifiuto dell’amministrazione aggiudicatrice interessata di annullare la decisione di aggiudicazione di tale appalto pubblico a seguito della conferma, con decisione giurisdizionale, che tanto l’aggiudicatario quanto tutti gli altri offerenti avevano partecipato a un accordo costitutivo di una violazione delle regole di concorrenza nello stesso settore interessato dalla procedura di aggiudicazione di detto appalto pubblico”.

Il caso di specie

La sentenza della Corte di giustizia definisce un procedimento avviato da una richiesta di pronuncia pregiudiziale (ai sensi dell’art. 267 TFUE) proposta dal TAR Lombardia, Milano, sez. I, con ordinanza del 7 gennaio 2022 (n. 25).

Nel 2018, una stazione appaltante organizzava una gara pubblica per l’affidamento di un servizio di elisoccorso in favore degli enti del servizio sanitario regionale della Regione Lombardia e della Regione Liguria.

Il bando, tra i requisiti da produrre a comprova della capacità tecnica e professionale, richiedeva il possesso di una particolare certificazione.

Un operatore interessato a partecipare alla competizione, non in possesso di detta certificazione, impugnava quindi il bando (nella parte in cui stabiliva la necessità di dimostrare il requisito) dinanzi al TAR Lombardia. Il giudice di prime cure respingeva il ricorso (sez. IV, sentenza del 6 maggio 2019, n. 1018), rigetto che veniva poi confermato in sede di appello dinanzi al Consiglio di Stato (sez. III, decisione del 26 febbraio 2020, n. 1414).

Nel frattempo, il 13 febbraio 2019, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato accertava che alcune imprese, tra cui tre operatori (unici) partecipanti alla gara per il servizio di elisoccorso in esame, erano incorse, tra il 2001 e il mese di agosto 2017, in gravi violazioni dell’art. 101 del TFUE (norma per cui: “…sono incompatibili con il mercato interno e vietati tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato interno…”). In particolare, l’Antitrust contestava un accordo orizzontale anti competitivo, avente a oggetto la fissazione “coordinata” dei prezzi degli interventi tramite elicottero (dunque finalizzato a influenzare la fissazione dei corrispettivi per il sevizio), con alterazione delle basi d’asta previste per l’affidamento degli appalti (basi d’asta che, in conseguenza degli accordi anti competitivi, sarebbero risultate sovrastimate).

L’AGCM, quindi, irrogava agli operatori “colpevoli” una serie di sanzioni amministrative, anche se non riteneva – l’Antitrust – raggiunto l’accertamento di un’intesa restrittiva della concorrenza nell’ambito della partecipazione alle singole gare d’appalto.

In conseguenza dei provvedimenti dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, le imprese sanzionate (nel nostro caso quelle partecipanti alla gara per l’affidamento del servizio di elisoccorso per le Regioni Lombardia e Liguria) contestavano le decisioni dinanzi al TAR (prima) e al Consiglio di Stato (dopo), organi di giustizia che però respingevano i ricorsi in quanto infondati (si v. rispettivamente sentenze TAR Lazio, Roma, sez. I, 18 maggio 2020, n. 5274 e Cons. Stato, sez. VI, 9 settembre 2021, n. 6239).

Nel frattempo, il 2 marzo 2020, la stazione appaltante – evidentemente non ritenendo rilevante la decisione dell’AGCM ai fini dell’affidamento della commessa – aggiudicava tre lotti dell’appalto di cui si tratta a due delle imprese sanzionate dall’Autorità per la concorrenza.

Nel giugno 2020, l’operatore che originariamente aveva contestato il bando di gara (e le cui doglianze, nel mentre, erano state respinte con decisione inoppugnabile) segnalava alla P.A. la sentenza di rigetto del ricorso delle imprese aggiudicatarie avverso il provvedimento dell’AGCM.

Tale operatore, quindi, faceva valere la circostanza per cui tale pronuncia avrebbe potuto incidere sulla valutazione relativa all’integrità e affidabilità degli operatori nell’espletamento del servizio di elisoccorso e configurare l’esistenza di un grave illecito professionale, ai sensi dell’art. 80, comma 5 Codice dei contratti pubblici, tale da giustificare l’esclusione delle imprese dalla gara.

Chiedeva, dunque, l’annullamento (in autotutela) dell’affidamento dell’appalto.

Con provvedimento del 3 luglio 2020, tuttavia, la stazione appaltante rispondeva, in sintesi, che  la sentenza portata alla sua attenzione non aggiungeva alcun elemento oltre a quelli contenuti nel provvedimento dell’AGCM già conosciuto e analizzato. Dunque, si confermava l’aggiudicazione del contratto.

All’operatore economico, dunque, non restava altro che proporre ricorso dinanzi al giudice amministrativo contro la decisione della P.A.

La ragioni del rinvio alla Corte di giustizia

Il TAR Lombardia ha rilevato, innanzitutto, che l’impresa ricorrente, essendo stata definitivamente esclusa dalla partecipazione alla procedura controversa a seguito del rigetto definitivo del suo ricorso contro il bando di gara, in linea di principio (e in conformità a un’interpretazione della giurisprudenza), non sarebbe stata legittimata a contestare l’aggiudicazione intervenuta in favore di altri operatori.

Tuttavia, ha evidenziato il giudice, a seguito di una serie di sentenze della Corte di giustizia (4 luglio 2013, C‑100/12, “Fastweb”; 5 aprile 2016, C‑689/13 “PFE”; 11 maggio 2017, C‑131/16 “Archus e Gama”; 5 settembre 2019, C‑333/18 “Lombardi”), i magistrati italiani hanno riconosciuto, nell’ambito di una procedura ad evidenza pubblica con solo due concorrenti, la ricevibilità di un ricorso finalizzato a ottenere la riedizione della gara presentato dal partecipante escluso per carenza dei requisiti minimi.

I giudici, però, applicherebbero tale orientamento soltanto nel caso di contestazioni “incrociate” (cioè reciprocamente volte a contestare la posizione di aggiudicatario/partecipante del concorrente), nell’ambito dello stesso ricorso contro la decisione di affidamento dell’appalto. Tale orientamento, però, secondo il TAR Lombardia, non potrebbe applicarsi alla fattispecie in esame, in quanto la legittimità del bando e la carenza di requisiti in capo all’impresa (formalmente non partecipante alla gara) sarebbe stata confermata con decisione giudiziaria definitiva intervenuta prima della proposizione del ricorso avverso l’aggiudicazione dell’appalto.

Tuttavia, ha ricordato il TAR Lombardia, la vicenda ruota intorno al rifiuto di una stazione appaltante di annullare (d’ufficio) la decisione di aggiudicazione di un appalto per un grave illecito professionale commesso da tutti gli offerenti, i quali, come confermerebbe la sentenza portata all’attenzione dell’amministrazione, avrebbero partecipato a un’intesa anticoncorrenziale, il che configurerebbe un errore grave commesso da un operatore economico nell’esercizio della propria attività professionale (e quindi, in definitiva, un’ipotesi di illegittimo affidamento della P.A. per violazione – da parte degli aggiudicatari – dell’art. 80, comma 5 Codice dei contratti).

Infine, ha illustrato il giudice del rinvio, nella sentenza del 5 settembre 2019 “Lombardi”, la Corte di giustizia ha rilevato che al concorrente classificatosi al terzo posto, il quale ha presentato un ricorso contro l’aggiudicazione dell’appalto, deve essere riconosciuto l’interesse a chiedere l’esclusione dell’offerta dell’aggiudicatario e dell’operatore classificatosi al secondo posto (e ciò anche se l’offerta del terzo in graduatoria fosse giudicata irregolare), poiché non potrebbe escludersi, in una simile ipotesi, l’interesse della pubblica amministrazione, constatata l’impossibilità di selezionare un’altra offerta regolare, a indire una nuova procedura di gara.

Il giudice del rinvio ha ritenuto che, nel caso di specie, ai fini della valutazione dell’interesse a ricorrere dell’impresa, la vicenda portata all’attenzione del TAR sarebbe assimilabile a quella riferita nella sentenza “Lombardi”, anche perché l’impresa originariamente priva del requisito lo avrebbe, nel frattempo, maturato e quindi avrebbe il concreto interesse a una riedizione della gara.

La decisione della Corte di giustizia

La Corte di giustizia ha avviato l’esame della questione ricordando che, ai sensi dell’art. 1, par. 3 direttiva 89/665/CEE (e cioè la direttiva del Consiglio “che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori”), gli Stati membri provvedono a rendere accessibili le procedure di ricorso (secondo modalità che essi possono determinare) “…almeno a chiunque abbia o abbia avuto interesse a ottenere l’aggiudicazione di un determinato appalto e sia stato o rischi di essere leso da una presunta violazione del diritto dell’Unione in materia di appalti pubblici o delle disposizioni nazionali che attuano tale diritto”.

Secondo la giurisprudenza comunitaria, ha evidenziato la Corte, la partecipazione a un procedimento di aggiudicazione di un appalto può, in linea di principio, validamente costituire una condizione da soddisfare per dimostrare che il soggetto coinvolto ha interesse a ottenere l’aggiudicazione dell’appalto o rischia di subire un danno a causa dell’asserita illegittimità della decisione di aggiudicazione del contratto, ai sensi dell’art. 1, par. 3 direttiva 89/665. Se non ha presentato un’offerta, dunque, tale soggetto può difficilmente dimostrare di avere interesse a opporsi a detta decisione o di essere leso (o rischiare di esserlo) dall’aggiudicazione della commessa ad altri operatori (la sentenza cita i precedenti: sentenze 12 febbraio 2004, C‑230/02 “Grossmann Air Service”, punto 27, nonché 28 novembre 2018, C‑328/17 “Amt Azienda Trasporti e Mobilità”, punto 46).

Tuttavia, ha chiarito ancora la sezione, dalle decisioni UE risulta pure che nell’ipotesi in cui un operatore non abbia presentato un’offerta in una procedura di aggiudicazione che non aveva alcuna possibilità di ottenere, a causa della presenza, nei documenti relativi alla gara d’appalto o nel capitolato d’oneri, di talune specifiche che non poteva rispettare, “…sarebbe eccessivo pretendere che, prima di poter avviare le procedure di ricorso previste dalla direttiva 89/665 per contestare tali specifiche, egli presenti un’offerta nell’ambito della procedura di aggiudicazione dell’appalto di cui trattasi” (il giudice riporta ancora quale riferimento la vicenda “Amt Azienda Trasporti e Mobilità”).

In questi casi (quando cioè si contesta la natura escludente o comunque illegittima della legge di gara) è dunque ammessa l’impugnazione “diretta” degli atti di cui si compone la procedura di evidenza pubblica, senza dover necessariamente (prima) prendere parte alla competizione presentando la propria offerta.

Fatte queste premesse, la Corte di giustizia ha sottolineato come la questione pregiudiziale sollevata dal TAR riguardasse l’ipotesi di un operatore che non aveva presentato un’offerta nell’ambito della procedura di affidamento contestata. Ciò in ragione del fatto che costui non soddisfaceva un requisito di partecipazione previsto dal bando, “lex” che (però) aveva potuto contestare mediante la presentazione di un ricorso poi respinto con decisione passata in giudicato prima dell’aggiudicazione dell’appalto di cui si tratta.

Pertanto, alla luce della giurisprudenza comunitaria, tale circostanza (e cioè l’intervenuto rigetto del ricorso con decisione definitiva intervenuta prima dell’affidamento della gara), non potrebbe far rientrare l’operatore nella nozione di “…chiunque abbia o abbia avuto interesse a ottenere l’aggiudicazione di un determinato appalto e sia stato o rischi di essere leso a causa di una presunta violazione”, ex art. 1, par. 3 direttiva 89/665, cit.

È il carattere non ancora definitivo della decisione di esclusione che determina, ha spiegato la Corte, la legittimazione di un offerente ad agire contro l’affidamento del contratto (sentenza del 21 dicembre 2021, C‑497/20 “Randstad Italia”, punti 73 e 74; ordinanza del 17 maggio 2022, C‑787/21 “Estaleiros Navais de Peniche”, punto 25). E, a tal proposito, ai sensi dell’art. 2 bis, par. 2 direttiva 89/665, cit., l’esclusione di un offerente dalla partecipazione a una procedura di gara è definitiva se è stata comunicata a quest’ultimo e se è stata ritenuta legittima da un organo di ricorso indipendente oppure se non può più essere oggetto di ricorso.

Quindi, se prima dell’aggiudicazione di un appalto un offerente sia stato definitivamente escluso dalla partecipazione alla procedura con decisione della stazione appaltate confermata da una pronuncia giurisdizionale che ha acquisito autorità di cosa giudicata, dalle norme comunitarie (per come interpretate da giudici UE) non emergono impedimenti a negare l’accesso a un ricorso contro l’affidamento della commessa e la conclusione del relativo contratto (la Corte di giustizia cita, a conferma, le sentenze del 21 dicembre 2016, C‑355/15 “Bietergemeinschaft Technische Gebäudebetreuung und Caverion Österreich”, punti 35 e 36; la decisione, C‑131/16 “Archus e Gama”, cit., punti da 57 a 59, nonché del 24 marzo 2021, C‑771/19, “NAMA”, punto 42).

Queste considerazioni, ha proseguito il giudice, “sono applicabili anche a un operatore che non abbia presentato offerte nell’ambito di una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico per il motivo che egli non soddisfaceva una delle condizioni richieste dalla gara d’appalto di cui trattasi e non poteva aggiudicarsi tale appalto pubblico, e il cui ricorso contro tale gara d’appalto, che metteva in discussione la liceità dell’inclusione di tale condizione, sia stato respinto con una decisione che abbia acquisito autorità di cosa giudicata prima dell’adozione della decisione di aggiudicazione dell’appalto pubblico. Infatti, la situazione di siffatto operatore non si distingue sostanzialmente, per quanto riguarda la sua esclusione definitiva da una procedura di aggiudicazione di questo tipo, da quella di un offerente come quello di cui al punto 38” (e cioè da un offerente definitivamente escluso dalla competizione con decisione della P.A. confermata da una sentenza ormai inoppugnabile).

In tale contesto, ha evidenziato il giudice passando a verificare le considerazioni del TAR Lombardia, la sentenza menzionata dal giudice del rinvio (e cioè la pronuncia “Lombardi”) non è in grado di condurre a una diversa conclusione. Né tale conclusione potrebbe essere influenza dal fatto che, nel frattempo, tale operatore abbia adottato le misure necessarie per soddisfare la condizione richiesta dal bando di gara, cosicché, in caso di annullamento della procedura di aggiudicazione a cui non aveva potuto partecipare e di organizzazione di una nuova procedura sulla base delle stesse condizioni, egli potrebbe presentare un’offerta e ottenere l’appalto.

Infatti, ha continuato la Corte UE, la sentenza “Lombardi” non riguarda l’ipotesi di un operatore la cui esclusione (rectius, impossibilità di partecipazione) alla procedura di affidamento sia stata giudicata lecita da una decisione avente autorità di cosa giudicata intervenuta prima dell’aggiudicazione dell’appalto, ma il caso di un offerente (dunque di un partecipante alla gara) che ha contestato la liceità dell’offerta di altri concorrenti (e che si è trovato esso stesso di fronte a contestazioni circa l’ammissibilità della propria) con doglianze che non sono state ancora decise in via definitiva.

Secondo il giudice, nella sentenza “Lombardi”, diversamente da quanto accade nella fattispecie in esame, vi è l’interesse dell’operatore alla contestazione dell’esito della procedura perché l’amministrazione potrebbe decidere di annullare la gara e avviare una nuova “selezione”. Ciò a causa del fatto che le restanti offerte (anche se regolari) potrebbero non corrispondere alle attese della P.A. (dunque, la ricevibilità del ricorso principale non potrebbe, a pena di pregiudicare l’effetto utile della direttiva 89/665, essere subordinata alla previa constatazione che tutte le offerte classificate alle spalle di quella dell’autore del ricorso siano anch’esse invalide).

In definitiva, per i giudici di Lussemburgo, nella vicenda in questione non può essere assimilata la posizione di chi (come nella sentenza “Lombardi”) ha preso parte alla procedura di gara contestando l’affidamento e venendo a sua volta contestato in ragioni di pretese carenze (ad esempio nel possesso di requisiti minimi stabiliti dalla lex specialis), con quella di che invece non solo non ha preso parte alla gara, ma non avrebbe potuto neppure parteciparvi, in ragione del difetto di un requisito stabilito dal bando la cui legittimità è stata successivamente acclarata con decisione definitiva intervenuta prima dell’affidamento dell’appalto.

Secondo la Corte UE tali conclusioni non possono essere modificate neppure in presenza di una “denuncia” riguardante l’esistenza di un accordo tra le imprese affidatarie dell’appalto in grado di violare le regole comunitarie in materia di concorrenza.

Infatti, secondo la Corte UE, “…un operatore che si trovi in una situazione del genere [che denuncia cioè la violazione delle regole sulla concorrenza ma che non ha preso parte alla gara] non si distingue, in definitiva, da qualsiasi altro operatore che avrebbe potuto potenzialmente presentare un’offerta. Orbene, dalla giurisprudenza citata al punto 31 della presente sentenza [“Grossmann Air Service” e “Amt Azienda Trasporti e Mobilità”] risulta che quest’ultima circostanza [l’essere potenzialmente in grado di presentare un’offerta, magari in ragione della maturazione del requisito richiesto, e quindi di essere interessati all’appalto] non è sufficiente a giustificare che un operatore siffatto rientri nella nozione di «chiunque abbia o abbia avuto interesse a ottenere l’aggiudicazione di un determinato appalto e sia stato o rischi di essere leso a causa di una presunta violazione», ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 3, della direttiva 89/665”.

Conseguentemente, per il giudice, a nulla rileva (ai fini dell’interesse a contestare i risultati di una gara) la denuncia di pretese violazioni della disciplina in materia di concorrenza, se l’operatore non ha preso parte alla competizione e se la contestazione circa la legittimità del bando di gara è stata rigettata con pronuncia ormai inoppugnabile intervenuta prima dell’affidamento dell’appalto.

I due fattori – denuncia di un accordo anticoncorrenziale e possesso (postumo) del requisito – non valgono, in definitiva, a concretizzare un interesse che comunque è considerato inesistente.

Note sulla sentenza

La decisione in esame appare di particolare interesse perché si inserisce nella – più generale – casistica giurisprudenziale volta alla verifica degli elementi che legittimano un’impresa a contestare gli atti di una procedura ad evidenza pubblica.

Il tema, dibattuto dalla giurisprudenza nazionale e comunitaria, riguarda l’indagine sull’esistenza delle condizioni dell’azione (interesse legittimo, legittimazione al ricorso, interesse al ricorso: si v. art. 100 c.p.c.) che permettono a un operatore economico di impugnare gli esiti di gara, al fine o di aggiudicarsi direttamente la commessa pubblica o di arrivare a una riedizione della procedura (pure per il tramite dell’esercizio dei poteri di autotutela da parte della stazione appaltante).

Il tema, di grande interesse e sempre attuale, non può ovviamente essere trattato in questa sede; però, possono essere svolte alcune considerazioni sistematiche.

Cominciamo col dire che, rispetto al tema della legittimazione ad agire e dell’interesse ad agire nel processo amministrativo, in assenza di univoche indicazioni nel diritto positivo (soprattutto da parte del codice del processo amministrativo: d.lgs. n. 104/2010), è grazie all’intervento delle norme e della giurisprudenza comunitaria se, nella materia della contrattualistica pubblica, rispetto alla più risalente tesi che legava la legittimazione a ricorrere alla previa presentazione della domanda di partecipazione alla gara (si v. Cons. Stato, ad. plen. 7 aprile 2011, n. 4; Cons. Stato, ad. plen., 25 febbraio 2014, n. 9; Cons. Stato, ad. plen. 26 aprile 2018, n. 4), oggi si è giunti a un progressivo ampliamento delle situazioni “legittimanti”, estensione che, secondo alcuni Autori, lascerebbe intravedere l’emersione di un nuovo tipo di interesse ad agire, c.d. “interesse meramente potenziale”, la cui affermazione potrebbe, in qualche modo, contribuire a superare certi capisaldi del sistema processuale interno (la tesi è di D. Capotorto, Le condizioni dell’azione nel contenzioso amministrativo in materia di appalti: “l’interesse meramente potenziale” nuovo paradigma dell’ordinamento processuale?”, Dir. proc. amm., 3, 2020, 665 ss.).

Hanno contributo a questo “ampliamento” delle ipotesi di legittimazione le direttive ricorsi (e cioè la direttiva n. 89/665/CEE e la direttiva n. 92/13/CEE entrambi modificate dalla direttiva n. 2007/66/CEE) e, come accennato, la giurisprudenza della Corte Ue, la quale, nelle decisioni più importanti intervenute sul tema (la sentenza 19 giugno 2003, C-249/01 “Hackermüller” e poi quelle sopra indicate qui riportate in ordine temporale: “Grossmann Air Service”, “Fastweb”, “PFE”, sentenza 5 aprile 2016, C-689/13 “Puligienica”, “Archus e Gama”; “Lombardi”, “Randstad Italia”, “Estaleiros Navais de Peniche”), ha progressivamente esteso il potere di contestazione anche in favore di chi – nell’ambito di ricorsi reciprocamente escludenti – potrebbe avere un interesse alla riedizione della gara pur non essendosi utilmente classificato in graduatoria “in quanto non si può escludere che, anche se la sua offerta fosse giudicata irregolare, l’amministrazione aggiudicatrice sia indotta a constatare l’impossibilità di scegliere un’altra offerta regolare e proceda di conseguenza all’organizzazione di una nuova procedura di gara” (punto 27 della decisione “Lombardi”).

Naturalmente, anche la giurisprudenza interna, pur tra molte oscillazioni, ha nel tempo corretto “il tiro” in base agli input provenienti da Lussemburgo.

Sebbene ancora, di regola, il concorrente escluso dalla procedura, non assumendo una posizione differenziata da qualsiasi operatore del settore, non ha legittimazione a contestare l’aggiudicazione e più in generale tutti gli atti della procedura (tra le più recenti, Cons. Stato, sez. V, 1° febbraio 2021 n. 937), tuttavia, la giurisprudenza domestica ha riconosciuto, ad esempio, che, in una gara in cui abbiano partecipato solo due concorrenti, sia ammissibile lo scrutinio di un ricorso finalizzato ad ottenere la riedizione della procedura, presentato da un partecipante escluso per carenza dei requisiti minimi, e ciò anche nel caso in cui non sia stato proposto un ricorso incidentale escludente da parte dell’aggiudicatario (su tali profili, si v. Cons. Stato, sez. V, 24 marzo 2020, n. 2049).

Più in generale, il rilievo attribuito al concetto di “interesse strumentale alla ripetizione della procedura” dalle statuizioni della Corte di giustizia ha consentito, già da alcuni anni, l’affermazione di alcuni punti fermi (si v. Cons. Stato, ad. plen., 11 maggio 2018, n. 6): “a) nessuno dubita che, nel caso in cui siano rimasti in gara unicamente due concorrenti e gli stessi propongano ricorsi reciprocamente escludenti, si imponga la disamina di ambedue i mezzi di impugnazione dai medesimi proposti, quali che siano i motivi di censura ivi contenuti; b) parimenti, nessuna perplessità sussiste circa l’esattezza dell’affermazione secondo cui ad analoghe conclusioni deve pervenirsi (anche in presenza di una pluralità di contendenti rimasti in gara), ove il ricorso principale contenga motivi che, se accolti, comporterebbero il rinnovo della procedura in quanto:

I) si censuri la regolarità della posizione – non soltanto dell’aggiudicatario e di tutti gli altri concorrenti rimasti in gara, collocati in posizione migliore della propria ma, anche – dei rimanenti concorrenti collocati in posizione deteriore;
II) ovvero perché siano proposte censure avverso la lex specialis idonee, ove ritenute fondate, ad invalidare l’intera selezione evidenziale;
c) in tali casi, si è raggiunta una piena concordanza di opinioni circa l’obbligatorietà dell’esame del ricorso principale, in quanto dall’accoglimento di quest’ultimo discenderebbe con certezza la caducazione integrale della gara e verrebbe così tutelato il subordinato interesse strumentale alla riedizione della procedura” (su tali profili, si v. pure Cons. Stato, sez. V, 3 marzo 2022, n. 1536; TAR Lombardia, Milano, sez. I, 15 febbraio 2023, n. 397; TAR Lazio, Roma, sez. I bis, 6 marzo 2023, n. 3734).

Ciò premesso, come si inserisce, in questo percorso, la sentenza in esame? La decisione segna un punto a favore o contro l’ampliamento delle ipotesi di legittimazione a contestare gli esiti di una procedura ad evidenza pubblica?

A mio avviso, la pronuncia – che appare in un certo senso “conservatrice” – manca l’obiettivo di percorrere l’ultimo “miglio” della strada che consentirebbe di consacrare – quanto meno nel contenzioso sulle gare pubbliche (in presenza di violazioni acclarate del diritto UE) – il concetto di interesse meramente potenziale quale fattore idoneo a consentire l’impugnazione di un affidamento.  La Corte di giustizia, in altre parole, chiude la porta a un’ipotesi di legittimazione al ricorso che – tramite l’interesse potenziale (da intendersi non soltanto in chiave “individualistica” ma a tutela di valori “superindividuali”) – potrebbe assurgere a ipotesi “straordinaria” di contestazione (una sorta di rimedio “revocatorio”) in presenza di violazioni del diritto comunitario definitivamente accertate a carico delle impresse partecipanti alla gara.

Dunque, una sorta di controllo “diffuso” sul rispetto del diritto UE (e degli obblighi derivanti dall’adesione dell’Italia all’Europa) che consentirebbe – in questi specifici casi – di contestare dinanzi ai giudici la decisione dell’amministrazione di non voler riaprire il procedimento, nonostante la presenza di violazioni (acclarate con sentenze definitive o provvedimenti non impugnati) alle norme in materia di concorrenza o relative ad altri settori essenziali per il raggiungimento degli scopi comuni.

L’interpretazione della legittimazione al ricorso, quindi, rimane legata alla presenza di “decisioni non definitive” riguardanti il soggetto che contesta la gara o il bando. Diversamente, il tratto inoppugnabile della sentenza o del provvedimento – maturato prima della decisione assunta dalla stazione appaltante in merito all’affidamento dell’appalto – blocca ogni ipotesi di accesso alla contestazione, facendo così venir meno, in capo all’operatore economico, ogni “interesse” e ogni “rischio di lesione” della propria sfera giuridica.

Peccato, però, e su questo la Corte di giustizia non si pronuncia, che l’affidamento di un appalto a un operatore economico che si sia reso responsabile della violazione di norme e principi fondamentali dell’Unione (come, ad esempio, le disposizioni in materia di concorrenza) non lede solo gli interessi di un imprenditore che aspira all’affidamento del contratto, ma pone in crisi l’esigenza “collettiva” al contrasto (a ogni livello) di tutte le condotte contrarie alle norme e ai principi europei, vero collante delle politiche dell’Unione e fattori imprescindibili di integrazione.

Sandro Mento