Annullamento della gara e sorte del contratto nel prisma del giudizio di ottemperanza

Commento alla sentenza del Consiglio di Stato, sez. III, del 22 maggio 2025, n. 4385

Sandro Mento 9 Giugno 2025
Modifica zoom
100%
Professionisti Imprese

Procedura di gara – Annullamento della gara – Artt. 121 ss. d.lgs. n. 104/2010 (CPA) – Inefficacia del contratto medio tempore stipulato – Effetto costitutivo della sentenza – Automatico travolgimento – Giudicato di annullamento – Giudizio di ottemperanza – Perimetro del thema decidendum – Richiesta di chiarimenti – Art. 112, comma 5 CPA.

Consiglio di Stato, sez. III, 22 maggio 2025, n. 4385

La disciplina portata dagli articoli 121 e ss. CPA costituisce attuazione dell’articolo 2 quinquies della Direttiva 89/665/CEE del Consiglio dell’Unione europea, del 21 dicembre 1989, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici. Tale disciplina è preordinata a dare tutela al concorrente illegittimamente escluso o pretermesso sul terreno delle regole di validità, piuttosto che su quello delle regole di responsabilità.
 
La regola generale è data dall’inefficacia del contratto, talora inderogabile in assoluto, talora derogabile: sicché, se la sentenza che annulla gli atti della gara nulla specifica sul punto, deve ritenersi che, in presenza di un obbligo di rinnovazione della gara stessa, si riespande la regola generale, per cui la stazione appaltante ha certamente il potere di rimuovere il contratto stipulato sulla base di atti illegittimi, se del caso modulandone gli effetti per ridurli o differirli in ragione della cura dell’interesse pubblico sotteso. Da ciò consegue che la regola è nel senso che all’annullamento dell’aggiudicazione segue automaticamente la invalidazione [del contratto], a meno che l’organo indipendente (giudice) la escluda in tutto o in parte. Pertanto, è necessaria una pronuncia giurisdizionale per escludere l’effetto automatico della invalidazione, non per affermarlo.
 
Nel caso in cui l’annullamento giurisdizionale travolga l’intera procedura di affidamento del contratto e non solo il provvedimento di aggiudicazione, comportando conseguentemente l’obbligo della stazione appaltante di rinnovare l’intera procedura, non occorre dichiarare l’inefficacia del contratto medio tempore stipulato, perché l’integrale annullamento della procedura di affidamento comporta anche l’automatico travolgimento del contratto medesimo, in quanto il potere del giudice di dichiarare l’inefficacia previsto dall’articolo 122 CPA è strettamente connesso alla possibilità di subentro del ricorrente vittorioso.
 
Nelle ipotesi di travolgimento automatico del contratto, è ben possibile che l’inefficacia del contratto di appalto sia dichiarata dal giudice dell’ottemperanza, anche in riscontro a richiesta di chiarimenti ex articolo 112, comma 5 CPA, trattandosi in definitiva di esplicitare quello che è un effetto già riveniente dalle statuizioni della sentenza resa all’esito del giudizio di cognizione.

Indice

Il caso di specie

La sentenza in commento è di grande interesse perché illustra una serie di principi in ordine al rapporto tra annullamento dell’aggiudicazione, sorte del contratto e poteri del giudice in sede di ottemperanza (artt. 112-114 CPA), procedimento giurisdizionale caratterizzato, come noto, anche dalla possibilità di sindacare il merito dell’azione amministrativa (artt. 7 e 134 CPA).
La pronuncia è, altresì, importante, in quanto illustra pure il tema della relazione esistente tra ottemperanza e sindacato del giudice ordinario, in merito alle azioni che l’operatore economico (il cui contratto è stato travolto dall’annullamento della gara) può, se del caso, intraprendere avverso gli atti dell’amministrazione che dispongano l’esecuzione del decisum del giudice amministrativo.

Questi i fatti salienti.

Con una sentenza (n. 4701/2024), il Consiglio di Stato ha accolto – in riforma di una decisione del TAR Campania – il ricorso proposto da una cooperativa avverso l’aggiudicazione (e il presupposto bando di gara) disposta da una società regionale per l’affidamento del multiservizio tecnologico presso gli immobili di proprietà o in uso alle aziende e istituti sanitari del servizio sanitario della Regione Campania (la procedura era suddivisa in 6 lotti).
Il motivo di accoglimento del ricorso – comune a tutti i lotti – ha riguardato il mancato inserimento dei Criteri Ambientali Minimi (c.d. “CAM”).
La sentenza del Consiglio di Stato, successivamente impugnata dinanzi la Corte di Cassazione da parte di un operatore appellato (originario affidatario di due lotti della gara annullata), è stata posta in esecuzione da parte della stazione appaltante (la società regionale), la quale, con determina dirigenziale, ha disposto la risoluzione delle convenzioni medio tempore stipulate con gli operatori economici della procedura posta nel nulla dal giudice amministrativo, in vista della sua riedizione.

Avverso tale provvedimento amministrativo, alcune società appellate (risultate soccombenti in esito al giudizio dinanzi al Consiglio di Stato e originariamente affidatarie dei lotti della gara poi annullata) hanno proposto gravame dinanzi al TAR, il quale ha respinto i ricorsi con sentenze in seguito gravate in appello.

Uno di detti operatori ha, però, contestato il provvedimento della stazione appaltante anche dinanzi al giudice ordinario (Tribunale delle imprese), con richiesta di accertare e dichiarare l’assunta illegittimità e invalidità della risoluzione dei contratti (avvenuta con la determina sopra indicata), così da garantire (nelle intenzioni della ditta proponente il ricorso) la prosecuzione del rapporto sorto per effetto della sottoscrizione delle convenzioni attuative degli originari affidamenti (poi, come detto, venuti meno per effetto della decisione del Consiglio di Stato).

Dopo una prima ordinanza cautelare di rigetto, in sede di reclamo, il Tribunale (ordinario) di Napoli ha accolto la domanda cautelare, ordinando alla P.A. di consentire all’aggiudicataria (il cui affidamento era già stato annullato dal giudice amministrativo) l’esecuzione dei servizi e delle prestazioni oggetto delle convenzioni a suo tempo sottoscritte tra le parti.
Per tutta riposta, la società regionale – di seguito alla decisione del giudice ordinario (avente ad oggetto, come si può notare, la stessa materia coinvolta nell’esecuzione della sentenza del Consiglio di Stato n. 4701/2024) – ha proposto regolamento di giurisdizione, ex art. 41 c.p.c., dinanzi la Corte di Cassazione.

Ciò al fine di risolvere la questione relativa all’individuazione del provvedimento giudiziale a cui dover dare effettivamente esecuzione. Inoltre, la P.A. ha dato “ottemperanza” al provvedimento interinale del giudice ordinario (e cioè al provvedimento adottato in sede cautelare), ordinando, solo a tal fine, di ripristinare l’efficacia dei contratti – già venuti meno per effetto del giudizio amministrativo – nei riguardi dell’operatore economico ricorrente, considerato, per il resto, privo di qualsiasi legittimazione e titolo a svolgere la commessa pubblica.

Di seguito a tali complesse vicende, l’appellante, risultata vittoriosa nella sentenza n. 4701/2024, ha conseguentemente proposto (dinanzi al Consiglio di Stato) ricorso per ottemperanza del giudicato di annullamento, chiedendo la dichiarazione di nullità – per violazione del decisum e delle disposizioni sull’inserimento dei Criteri Ambientali Minimi nei bandi di gara – del provvedimento della società regionale adottato di seguito alla decisione, in sede di reclamo, del Tribunale ordinario di Napoli.

Nella stessa sede, ha domandato al Consiglio di Stato di chiarire la perimetrazione degli effetti della propria sentenza sui contratti a suo tempo stipulati dalla P.A. (in conseguenza degli originari affidamenti), per avere la decisione n. 4701/2024 espressamente menzionato solo l’annullamento degli atti amministrativi ad essi prodromici (e cioè gli atti di gara e relativi allegati e l’aggiudicazione dei lotti), ma non i contratti conseguenti.

La decisione del Consiglio di Stato

Sul tema della perimetrazione degli effetti della sentenza di annullamento (degli atti di gara e dell’aggiudicazione) sui contratti eventualmente stipulati dalla P.A. e in merito alla cognizione del giudice amministrativo in sede di ottemperanza, il Consiglio di Stato ha espresso un serie di interessanti valutazioni, che qui si riassumono.

Innanzitutto, il giudice – in risposta ad una eccezione in rito dell’appellata (resistente in ottemperanza) – ha precisato alcuni aspetti pertinenti il soggetto che può, ai sensi dell’art. 112, comma 5 CPA, domandare chiarimenti al: “…giudice che ha emesso il provvedimento della cui ottemperanza si tratta” (art. 113, comma 1 CPA).

La resistente, in particolare, aveva richiamato il diffuso orientamento giurisprudenziale secondo cui, il ricorso ai sensi del citato art. 112, comma 5 CPA, sarebbe proponibile solo dal soggetto soccombente nel giudizio di cognizione (e non, come nella specie, dall’operatore economico vittorioso), atteso che la parte “vincente” non avrebbe necessità di tali chiarimenti, potendo agire direttamente con un ricorso di ottemperanza in caso di non esecuzione o di non corretta esecuzione.

Da qui, l’assunta inammissibilità dei chiarimenti richiesti.

Il Consiglio di Stato ha disatteso tale impostazione.

Infatti, per il giudice: “…la stessa giurisprudenza richiamata a sostegno dell’affermazione dell’esclusione della parte vittoriosa dalla legittimazione ad agire per chiarimenti, ad una attenta lettura delle argomentazioni a supporto della motivazione, induce nella presente fattispecie a conclusioni opposte a quelle auspicate dall’eccezione in esame”.
Nel riportare il pensiero della sezione II (sentenza n. 1029/2025), il Collegio ha illustrato che il rimedio: “…«non è neanche una domanda giudiziale diretta a chiedere un bene della vita» (dal che i dubbi sull’interesse a paralizzarne l’esperimento mediante l’eccezione d’inammissibilità); e che esso «non può trasformarsi in un mezzo utilizzabile dal soggetto vittorioso per anticipare e neutralizzare ipotetiche future erronee esecuzioni da parte del soccombente»: il che qui non è, perché il soggetto vittorioso ritrae il proprio interesse non rispetto ad «ipotetiche, future, erronee esecuzioni» da parte del soccombente, ma al contrario da iniziative già intraprese e da esecuzioni già avvenute che hanno rovesciato, rispetto al dictum della sentenza d’appello della cui esecuzione si discute, l’assetto di interessi e la conseguente qualificazione della parte soccombente e di quella vittoriosa [il giudice allude al fatto che l’impresa proponente l’eccezione – soccombente nel giudizio di appello – è la stessa che, dinanzi al Tribunale ordinario, ha ottenuto il ripristino dei contratti venuti meno per effetto della precedente decisione del Consiglio di Stato]”.

Il rilievo dell’eccezione di inammissibilità della parte appellata (resistente in ottemperanza), unito alla circostanza della proposizione del rimedio ex art. 112 ss. CPA per effetto del sostanziale mancato adempimento (per le complesse vicende richiamate nel precedente paragrafo) della sentenza di appello, non ha, secondo il Collegio: “…la forza, se non mediante un’esegesi formalistica delle norme sulla funzione del giudizio di ottemperanza (lesiva sia del diritto di difesa della parte interessata, che dell’interesse dell’amministrazione alla corretta esecuzione della sentenza), di escludere nel caso di specie l’ammissibilità della domanda”.
La richiesta di chiarimenti al giudice dell’ottemperanza da parte dell’operatore vittorioso, allora, mira, in via principale: “…ad una forma di esecuzione della sentenza di appello il cui scrutinio presuppone comunque l’esatta perimetrazione del contenuto e degli effetti della stessa: sicché quand’anche ci si ancorasse al dato formale, dichiarando inammissibile la (sola) domanda di chiarimenti della parte vittoriosa, in ogni caso l’indagine implicata dalla domanda di esecuzione avrebbe medesimo contenuto ed oggetto”.

Dunque, è stata considerata ammissibile la richiesta di chiarimenti al giudice dell’ottemperanza (in questo caso il Consiglio di Stato) presentata dall’operatore vittorioso in sede di appello.

Chiarito il profilo, in merito al potere del giudice (in sede di cognizione) di dichiarare l’inefficacia del contratto d’appalto ai sensi dell’art. 122 CPA e al rapporto tra tale dichiarazione e successivo giudizio di ottemperanza (declinato, eventualmente, quale richiesta di chiarimenti), il Collegio ha, invece, illustrato quanto segue.

In primo luogo, il giudice ha evidenziato che la disciplina portata dagli artt. 121 e ss. CPA costituisce attuazione dell’art. 2 quinquies della Direttiva 89/665/CEE del Consiglio dell’Unione europea, del 21 dicembre 1989, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione di appalti pubblici. Tale disciplina: “…è preordinata a dare tutela al concorrente illegittimamente escluso o pretermesso sul terreno delle regole di validità, piuttosto che su quello delle regole di responsabilità”.

In forza della stessa: “…la regola generale è data dall’inefficacia del contratto, talora inderogabile in assoluto, talora derogabile: sicché se la sentenza che annulla gli atti della gara nulla specifica sul punto, deve ritenersi che in presenza di obbligo di rinnovazione della gara stessa si riespande la regola generale, per cui la stazione appaltante ha certamente il potere di rimuovere il contratto stipulato sulla base di atti illegittimi, se del caso modulandone gli effetti per ridurli o differirli in ragione della cura dell’interesse pubblico sotteso (ciò si evince in particolare dal par. 1 del citato art. 2 quinquies)”.

Da ciò ne consegue che all’annullamento dell’aggiudicazione (e tanto più della gara) segue – automaticamente – l’invalidazione del contratto, a meno che l’organo indipendente (giudice) escluda in tutto o in parte detta invalidazione. Pertanto, si chiarisce nella sentenza, è necessaria una pronuncia giurisdizionale per escludere tale effetto automatico, non per affermarlo.

Per il Collegio, quindi, la stazione appaltante non può (di sua iniziativa) escludere l’invalidazione del contratto, mentre è obbligata a invalidarlo se bando e aggiudicazione sono annullati e il giudice nulla abbia espressamente disposto sulla sorte del contratto.

Nella sentenza n. 5500 del 2019 della V sezione, ricorda ancora il giudice, è stato affermato che: “…se è vero che gli articoli 121 e seguenti del CPA riconoscono il potere di dichiarare l’inefficacia del contratto al «giudice che annulla l’aggiudicazione definitiva», è pur vero che essi non possono essere letti come istitutivi di una sorta di riserva di cognizione, per la quale, solo il giudice investito della cognizione sugli atti di gara (id est. della domanda di annullamento dell’aggiudicazione) è competente a dichiarare l’inefficacia del contratto, con implicita esclusione della competenza in caso di proposizione di altra tipologia di azione (ad esempio di azione esecutiva ovvero anche l’azione cautelare). (…) Se, a seguito dell’annullamento degli atti di gara, l’Amministrazione resta inerte, così consentendo la prosecuzione del contratto con la parte illegittima aggiudicataria, l’operatore economico vincitore del giudizio non avrà conseguito alcun effetto utile dal giudicato di annullamento, salvo eventualmente spuntare il risarcimento del danno che, tuttavia, è rimedio sussidiario, attivabile per il solo caso di impossibile l’esecuzione in forma specifica della sentenza (…). Annullata l’aggiudicazione – che ne è il presupposto – stabilire se il bene della vita riconosciuto dal giudicato di annullamento possa effettivamente – e non solo in via supposta dall’amministrazione – conciliarsi con il mantenimento in vita del contratto di appalto, è questione che attiene alla corretta conformazione al giudicato e, per questo, di natura, spettante al giudice dell’ottemperanza”.

Né si può ritenere – ha poi proseguito il Consiglio di Stato – che le direttive ricorsi abbiano creato una: “…riserva di giurisdizione sulla sorte del contratto, escludendo ogni potere autonomo delle stazioni appaltanti, perché al contrario il par. 1 dell’art. 2 quinquies prevede l’opzione alternativa tra la privazione di effetti del contratto direttamente da parte di un organo di ricorso indipendente dalla stazione appaltante, e la privazione di effetti che sia la conseguenza della pronuncia di tale organo. Quindi, la privazione di effetti ben può essere disposta dalla stazione appaltante in esecuzione di una sentenza del giudice, e ciò che rileva e che l’azione amministrativa sia controllabile e sindacabile dal giudice, come avviene con il giudizio di ottemperanza”.

A fronte di un annullamento giurisdizionale degli atti di gara, senza espressa pronuncia sulla sorte del contratto, allora, è dovere della stazione appaltante attivarsi, data l’esistenza del generale potere di autotutela e di quello specifico in materia di appalti; ove abbia dubbi, la stessa dovrà rivolgersi al giudice dell’ottemperanza.

Il Consiglio di Stato ha sottolineato la necessità di richiamare l’indirizzo secondo il quale, nel caso in cui l’annullamento giurisdizionale travolga l’intera procedura di affidamento del contratto e non solo il provvedimento di aggiudicazione (comportando conseguentemente l’obbligo della stazione appaltante di rinnovare l’intera procedura): “…non occorre dichiarare l’inefficacia del contratto medio tempore stipulato, perché l’integrale annullamento della procedura di affidamento comporta anche l’automatico travolgimento del contratto medesimo, in quanto il potere del giudice di dichiarare l’inefficacia previsto dall’articolo 122 CPA è strettamente connesso alla possibilità di subentro del ricorrente vittorioso, che nell’ipotesi qui in esame deve escludersi in radice (si cfr. Cons. Stato, sez. V, 17 gennaio 2023, n. 589; id., 10 novembre 2022, n. 703; id., sez. III, 14 ottobre 2022, n. 8773)”.

Per il Collegio è ben possibile che l’inefficacia del contratto di appalto sia dichiarata dal giudice dell’ottemperanza, anche in riscontro a richiesta di chiarimenti ex art. 112, comma 5 CPA, trattandosi, in definitiva, di esplicitare quello che è un effetto già riveniente dalle statuizioni della sentenza resa all’esito del giudizio di cognizione.
Secondo la sentenza del Consiglio di Stato n. 589/2023 (richiamata nel corpo della decisione), infatti: “…nel caso in cui l’annullamento giurisdizionale travolga l’intera procedura di affidamento del contratto, oltre al provvedimento di aggiudicazione, comportando conseguentemente l’obbligo per l’amministrazione soccombente di rinnovare l’intera procedura non vi è alcuna possibilità che il ricorrente si aggiudichi il contratto e quindi, secondo la norma codicistica, non occorre né dichiarare l’inefficacia del contratto né tantomeno disporre il subentro. L’integrale annullamento della procedura di affidamento comporta l’automatico travolgimento o caducazione anche del contratto stipulato con l’illegittimo aggiudicatario”.

Infine, con riferimento alla fattispecie concreta, il giudice ha concluso che – proprio in virtù dell’orientamento sopra richiamato, che ricollega all’integrale caducazione della procedura di gara l’automatico travolgimento del contratto di appalto – le convenzioni a suo tempo sottoscritte tra la società regionale e le originarie aggiudicatarie dovevano considerarsi inefficaci per effetto della sentenza n. 4701/2024 (della cui ottemperanza si è trattato nella sentenza in esame).

Ciò, secondo il Consiglio di Stato, non ha travalicato l’ambito del giudicato, costituendo: “…mera esplicitazione di un effetto certamente già rientrante nel perimetro del decisum giudiziale”. Tale inefficacia: “…è solo accertata con effetti meramente ricognitivi nel presente giudizio, decorrendo – con effetti costitutivi – già dal momento della pubblicazione della citata sentenza n. 4701/2024 (con tutto ciò che a tale dato consegue in punto di determinazioni della stazione appaltante)”.

La rimozione del contratto, allora, non è riconducibile, in tal caso, a vicende negoziali: “…ma piuttosto alla fase genetica del vincolo negoziale, id est al procedimento di evidenza pubblica, e dunque alla causa del sottostante contratto: sicché una volta accertata con efficacia di giudicato l’illegittimità degli atti che abilitano l’Amministrazione a stipulare, la stessa Amministrazione, ove intervenga in autotutela sul contratto medio tempore stipulato, adotta una misura, esecutiva del giudicato, in cui non viene in gioco l’inadempimento delle obbligazioni previste dal contratto, sicché si è al di fuori dell’area dei rimedi fondati sulle clausole dello stesso ed incidenti su posizioni di diritto soggettivo dell’appaltatore”.

Ancora sulla sentenza del Consiglio di Stato

Nella sentenza rilevano altre interessanti considerazioni, svolte dal Collegio in relazione ad altrettante eccezioni poste da una delle società resistenti (originariamente appellata), che vale la pena approfondire.

Vediamole partitamente.

Innanzitutto, il Consiglio di Stato è stato chiamato a sindacare un preteso difetto “assoluto” di giurisdizione del G.A. in relazione al rimedio dell’ottemperanza attivato per eseguire la sentenza (del Consiglio di Stato) n. 4701/2024.

In pratica, la società che ha sollevato la questione riteneva che l’azione della parte istante – finalizzata a far dichiarare, in via principale, la nullità della determinazione adottata dalla P.A. di seguito all’esito del reclamo dinanzi al Tribunale delle imprese di Napoli (determinazione con cui era stato stabilito il provvisorio “riavvio” dei contratti venuti meno per effetto della sentenza n. 4701/2024) e, comunque, la violazione delle regole sui CAM (e, in via gradata, ad ottenere dal Collegio i chiarimenti ex art. 112, comma 5 CPA) – fosse caratterizzata dall’avvenuta contestazione  non di un atto amministrativo, ma di una mera “presa d’atto” (da parte della P.A.) della decisione del giudice ordinario, senza alcuna spendita di poteri amministrativi.

Sicché con il ricorso – ha sostenuto parte appellata – in realtà si sarebbe surrettiziamente e inammissibilmente contestato (dinanzi al G.A.) un provvedimento del giudice ordinario, ossia l’ordinanza cautelare adottata dal Tribunale di Napoli in sede di reclamo.

Il Consiglio di Stato ha rigettato l’eccezione, poiché infondata.

Il giudice amministrativo ha illustrato, innanzitutto, che se fosse vera la tesi della carenza, nell’atto impugnato, del tratto provvedimentale, al più si potrebbe argomentare in merito ad una inammissibilità del ricorso per carenza di interesse (per assenza di lesività della determinazione contestata), ma non per difetto assoluto di giurisdizione.

Il fatto che tale determinazione (impugnata in sede di ottemperanza) sia: “…indubitabilmente avvinta da un nesso di consequenzialità con la decisione del Tribunale di Napoli, essendo stata adottata a valle e per effetto di quest’ultima, non vuol dire necessariamente che contestarla davanti alla giurisdizione amministrativa implichi il voler chiedere a quest’ultima un intervento «cassatorio» sul retrostante provvedimento del giudice ordinario”.

Sarebbe del resto paradossale se, in adesione alla tesi della resistente (originariamente appellata):  “…che ha adìto il giudice civile per una vicenda relativa all’esecuzione di una sentenza di questo Consiglio di Stato, e che conseguentemente pretende di negare, a seguito del ricorso per ottemperanza proposto dalla controparte, la giurisdizione del giudice «naturale» dell’esecuzione di tale sentenza […], si regolasse la competenza giurisdizionale sulla base del diverso – rispetto all’impianto codicistico – criterio qui primi veniunt”.
Altra eccezione, sempre della resistente nei confronti del ricorso per ottemperanza, ha riguardato il difetto “relativo” di giurisdizione.

Secondo l’impresa, la determinazione della società regionale impugnata in ottemperanza (conseguente, come abbiamo detto, al provvedimento interinale adottato in sede di reclamo dal Tribunale di Napoli) non era espressione di un potere amministrativo, quindi fuoriuscendo dall’ambito della giurisdizione amministrativa delineato dall’art. 7 CPA.

In altri termini, poiché, a valle della sentenza di cognizione (che aveva annullato gli atti della gara), sarebbe stato stipulato un nuovo contratto in conseguenza di un provvedimento cautelare del giudice civile, tale circostanza (la nuova sottoscrizione) non riguarderebbe l’esecuzione della sentenza n. 4701/2024, ma un atto nuovo ed autonomo, in grado di sfuggire, sotto ogni forma, al sindacato del giudice dell’ottemperanza.

Anche questa tesi è stata respinta dal Collegio.

In primo luogo, il G.A. ha constatato come il “nuovo contratto” fosse, in realtà: “…la riattivazione, su ordine del giudice civile reso a seguito di una motivazione incentrata sull’esecuzione della sentenza n. 4701 del 2024 di questo Consiglio di Stato, del contratto stipulato fra la stazione appaltante e [l’originario operatore economico rimasto soccombente in virtù della decisione n. 4701/2024] all’esito di un procedimento di evidenza pubblica ritenuto illegittimo ed annullato da questo giudice con efficacia di giudicato. Il che dimostra plasticamente come, in concreto, l’intera vicenda sia relativa al vincolo genetico che lega il contenuto negoziale al suo fattore legittimante, che condiziona la capacità di diritto privato dell’ente pubblico: vale a dire, la legittimità degli atti del procedimento di scelta del contraente”.

Inoltre, la tesi della parte non è stata ritenuta corretta neppure sul piano della teoria generale e del diritto positivo.

La giurisprudenza, ha ricordato il giudice, tende infatti a differenziare: “…casi nei quali la cessazione sia disposta iure privatorum, nell’esercizio di un diritto di recesso, e non iure imperii, nell’esercizio di un potere di autotutela o di controllo della serie degli atti di evidenza pubblica (della loro legittimità o rispondenza al pubblico interesse) (Cons. Stato, sez. VI, 17 marzo 2010, n. 1554; Cons. Stato, sez. V, 22 maggio 2015, n. 2562)”.

Si insegna, ha riportato ancora il Collegio: “…che la pubblica amministrazione ben può incidere unilateralmente sul negozio, in ragione di vicende relative non ad alterazioni del rapporto negoziale, ma della causa del provvedimento di scelta del contraente (quest’ultima evidentemente espressiva della cura non degli interessi di una delle parti contraenti, ma dell’interesse superindividuale della collettività, di cui l’Amministrazione è attributaria)”.
Si tratta, dunque, di poteri amministrativi di secondo grado, esercitati su provvedimenti legittimanti la stipula del negozio – e riconducibili alla categoria dell’autotutela decisoria della pubblica amministrazione – i quali hanno effetto sul contratto stipulato nella misura in cui questo ripeta la sua legittimazione dal provvedimento terminale della fase di evidenza pubblica.

Considerato, dunque, che nel giudizio in questione: “…l’indagine sull’individuazione del giudice fornito di giurisdizione non concerne propriamente (se non sul piano meramente consequenziale) la domanda tendente a dichiarare l’inefficacia del contratto in quanto tale: ma piuttosto la domanda tendente – ex art. 112 CPA – all’accertamento (ai fini della sua corretta esecuzione) dell’esatto contenuto della sentenza resa all’esito del giudizio di cognizione, che a sua volta rappresenta un prius logico rispetto ad ogni altra questione…”, allora: “…è evidente che il tema controverso è (e rimane) quello dell’esatta perimetrazione degli effetti caducatori e conformativi della precedente sentenza di annullamento della gara, così rientrandosi a pieno titolo nella cognizione del giudice amministrativo quale giudice dell’ottemperanza”.

A tali rilievi, ha illustrato il giudice, non potrebbe opporsi la tesi per cui, tale accertamento (relativo alla sorte del contratto), sarebbe precluso al giudice dell’ottemperanza, perché, con ciò, si darebbe per scontato cha la sentenza della cui ottemperanza si discute: “…non contenga una simile pronuncia [in merito alla sorte del contratto]”, il che varrebbe – per il Collegio – anche ad anticipare il merito del giudizio di ottemperanza stesso, pretendendo di definirne le “conclusioni” in esito alla verifica della giurisdizione: “…ma sul presupposto dell’esaurimento dello scrutinio di fondatezza”.

Non potrebbe opporsi, più precisamente: “…che l’assenza di potere amministrativo si ricaverebbe proprio dal fatto che la sentenza n. 4701/2024 non ha statuito sulla inefficacia delle convenzioni, ovvero avrebbe implicitamente respinto la relativa domanda (di declaratoria di tale inefficacia): in questo modo la parte intimata anticipa una risposta a quello che come si è visto è il thema decidendum del presente giudizio, per poi da essa inferire la negazione della giurisdizione del giudice amministrativo, laddove è noto – per pacifica giurisprudenza: ex multis, e da ultimo, Corte di cassazione, SS.UU., ordinanza 12 marzo 2025, n. 6633 – che la giurisdizione si determina a priori sulla base del petitum sostanziale e della causa petendi quali evincibili dalla domanda giudiziale, e non già a posteriori sulla base di una delibazione anticipata della fondatezza o meno di essa”.
Altra eccezione ha riguardato la presunta inammissibilità del ricorso per violazione del principio del ne bis in idem.

In pratica, secondo parte resistente, non avendo la sentenza da ottemperare (n. 4701/2024) pronunciato sulla sorte delle convenzioni stipulate a suo tempo con gli aggiudicatari, la questione sarebbe estranea al perimetro del decisum da ottemperare. Non avendo la ricorrente attivato il rimedio della revocazione per omessa pronuncia, la stessa non potrebbe chiedere per la prima volta, in sede di ottemperanza, una statuizione che non sarebbe stata resa nel giudizio di cognizione.

Pure questa eccezione è stata respinta dal Consiglio di Stato.

In particolare, il giudice ha chiarito che la questione della declaratoria di inefficacia delle convenzioni costituiva proprio l’oggetto del thema decidendum sollevato dalla ricorrente, attinente quindi al merito del ricorso per ottemperanza. Conseguentemente, ha ritenuto processualmente non corretto articolare un’eccezione preliminare sul presupposto della già (ritenuta) soluzione della questione, ovviamente in senso conforme ai desiderata della parte eccipiente.

Con un’ulteriore eccezione – sempre di inammissibilità del ricorso di ottemperanza – è stato asserito il difetto di legittimazione e interesse a ricorrere dell’istante. Secondo la resistente, la condizione, della ricorrente, di gestore uscente del servizio non sarebbe stata idonea a fondare una legittimazione meritevole di tutela, né un interesse differenziato e qualificato azionabile in giudizio.

L’eccezione è stata considerata manifestamente infondata.

Secondo il Collegio, infatti, era del tutto evidente come la parte istante traesse la propria legittimazione (e anche il proprio interesse) dalla qualità di ricorrente vittoriosa nel giudizio di cognizione, quale partecipante alla procedura di affidamento poi annullata, potendo far valere il suo interesse strumentale alla rinnovazione della gara: “…posizione che secondo le norme processuali è assolutamente idonea e sufficiente a consentirle di agire per l’ottemperanza al decisum giudiziale, in via autonoma e indipendente rispetto alla veste di gestore uscente del servizio”.

Dal Collegio è stata esaminata pure un’ultima eccezione, relativa all’assunta inammissibilità (non involgente questioni di giurisdizione) dell’azione di nullità proposta dalla ricorrente avverso l’atto con cui la P.A. aveva ripristinato le convenzioni inerenti la gara oggetto della sentenza n. 4701/2024 (come accennato in apertura di questa nota, la parte istante, nel giudizio di ottemperanza, aveva richiesto sia la dichiarazione di nullità della determinazione della società regionale che aveva “ripristinato” i contratti a fronte dell’ordinanza cautelare del Tribunale di Napoli, sia, in via gradata, i chiarimenti ai sensi dell’art. 112, comma 5 CPA).

In questo caso, il giudice ha considerato fondata l’eccezione, dichiarando inammissibile, in relazione a tale parte, il ricorso per ottemperanza (il giudice, in seguito, si è pronunciato nel “merito” della questione – e cioè in ordine ai chiarimenti richiesti ai sensi del citato art. 112 CPA – enucleando i principi di cui si è detto nel paragrafo precedente).

Il presupposto di partenza è stato individuato nella “natura” della determinazione adottata dalla società regionale, considerata non un provvedimento amministrativo, ma un atto di adempimento di una decisione giurisdizionale.

In questo caso, ha precisato il Collegio, l’atto ha disvelato inequivocabilmente: “…che si tratta di una mera presa d’atto del provvedimento del Tribunale di Napoli che ha ritenuto ancora efficaci le convenzioni sottoscritte con gli originari aggiudicatari. Più specificamente, la stazione appaltante dà atto di essersi trovata nella difficile situazione di avere due provvedimenti emessi da giudici diversi che giungono a conclusioni opposte in ordine alla perdurante efficacia delle convenzioni de quibus, e di aver ritenuto che l’ottemperanza contestuale di entrambi potesse essere assicurata, ferma restando l’indizione della nuova procedura di affidamento che costituisce esecuzione di quanto espressamente statuito nella sentenza n. 4701/2024, prendendo atto delle determinazioni del giudice civile e quindi mantenendo in essere le convenzioni stesse, salva la condizione risolutiva dell’esito del regolamento di giurisdizione avviato dalla stessa [stazione appaltante]”.

In accoglimento dell’eccezione in esame, ha concluso il giudice: “…il ricorso va dunque dichiarato per questa parte inammissibile: fermi restando gli effetti che su tale atto potranno eventualmente prodursi all’esito della definizione del regolamento di giurisdizione proposto dalla [stazione appaltante] avverso la richiamata decisione del Tribunale di Napoli che, accogliendo il reclamo contro il precedente provvedimento reiettivo motivato anche con riferimento al difetto di giurisdizione del giudice ordinario, ne costituisce, proprio per le ragioni che conducono al parziale accoglimento dell’eccezione in esame, l’unico presupposto logico-giuridico”.

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento