Bando di gara in contrasto con il diritto europeo

Consiglio di Stato sez. V 10 gennaio 2024 n. 321

28 Gennaio 2024
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Bando di gara in contrasto con il diritto europeo – Rimedio dell’annullamento dell’atto illegittimo preferibile rispetto a quello della disapplicazione – Obbligo di impugnazione nei termini fissati a pena di decadenza – Clausola di gara che impone il possesso dei requisiti in misura maggioritaria in capo alla mandataria

1. Il bando che, applicando una norma di legge nazionale ritenuta dalla Corte di Giustizia in contrasto col diritto dell’Unione, ne impone l’osservanza nella singola gara, è illegittimo e in quanto tale annullabile, senza che sia rilevante la fonte (interna o europea) della norma violata. Infatti, il vizio è comunque riconducibile alla violazione di legge in ragione della tendenziale unitarietà dei due ordinamenti, sia pure con la prevalenza di quello europeo sancita dagli artt. 11 e 117 della Costituzione. Pertanto, ove si voglia far valere l’illegittimità del provvedimento, lo stesso va impugnato e non può essere soltanto “disapplicato”, e ciò nel rispetto delle norme che regolano il processo, in particolare osservando il termine fissato a pena di decadenza per l’impugnazione. Ne consegue che, se la clausola in contestazione è immediatamente escludente, l’impugnazione del bando deve essere proposta nel termine di trenta giorni dalla sua pubblicazione ai sensi dell’art. 120, comma 5, c.p.a., pena l’impossibilità di rimuoverlo per via giurisdizionale una volta che le sue previsioni siano divenute stabili.

2. La clausola di gara che, imponendo il possesso dei requisiti in misura maggioritaria in capo alla mandataria, si pone in contrasto con l’ordinamento dell’Unione europea secondo i principi dettati dalla Corte di Giustizia nella sentenza 28 aprile 2022 sulle modalità di composizione dei raggruppamenti temporanei di imprese, non può considerarsi nulla ai sensi dell’art. 83, comma 8, d.lgs. n. 50/2016. Infatti, la portata della decisione della Corte di Giustizia è chiaramente delineabile nel senso che, se non è consentito al legislatore nazionale di imporre, in modo generalizzato ed astratto, un vincolo quantitativo alle modalità organizzative dei raggruppamenti di operatori economici in tutti gli appalti pubblici, per contro, a determinate condizioni, la modulazione, sia pure qualitativa, è consentita alla singola amministrazione aggiudicatrice, tenuto conto dell’oggetto dell’appalto e delle prestazioni da affidare. Escluso perciò un divieto assoluto, posto dal diritto dell’Unione, di modulare i requisiti nell’ambito di un raggruppamento in modo che ne risulti diversamente regolata la posizione della mandataria, la previsione del disciplinare che richiede per quest’ultima il possesso dei requisiti di partecipazione in misura maggioritaria, pur riproduttiva di una norma interna incompatibile con quella unionale, non è qualificabile alla stregua di una causa di esclusione atipica affetta da nullità ai sensi dell’art. 83, comma 8, del d.lgs. n. 50 del 2016. Non si tratta neppure all’evidenza dell’esclusione generalizzata di determinati concorrenti plurisoggettivi ma della modulazione dei requisiti di partecipazione rimessa alla discrezionalità della singola amministrazione aggiudicatrice.

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Redazione