Diritto processuale amministrativo – Contenzioso appalti – Impugnazione dei provvedimenti dell’Anac in materia di contratti pubblici

TAR Lazio – Roma, sez. I quater, 27 marzo 2025 n. 6216

14 Aprile 2025
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Diritto processuale amministrativo – Contenzioso appalti – Impugnazione dei provvedimenti dell’Anac in materia di contratti pubblici – Art. 120 c.p.a., come novellato d.lgs. n. 36/2023 – Rito accelerato – Procedimento sanzionatorio Anac – Perentorietà dei termini – Rimessione in termini per errore scusabile nel processo amministrativo

1. L’art. 120 c.p.a., così come novellato d.lgs. n. 36/2023, prevede che i provvedimenti dell’Anac in materia di contratti pubblici, senza distinzioni, rientrino tutti nel rito accelerato. L’art. 120 c.p.a. nella sua attuale formulazione dispone “ Gli atti delle procedure di affidamento e di concessione disciplinate dal codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo di attuazione della legge 21 giugno 2022, n. 78, comprese le procedure di affidamento di incarichi e concorsi di progettazione e di attività tecnico-amministrative a esse connesse, i quali siano relativi a pubblici lavori, servizi o forniture, nonché i provvedimenti dell’Autorità nazionale anticorruzione in materia di contratti pubblici, sono impugnabili unicamente mediante ricorso al tribunale amministrativo regionale competente”. Ciò posto il collegio ritiene che la disciplina di cui all’art. 209 del d.lgs. n. 36 del 2023 (efficace a partire dal 1° luglio 2023) abbia previsto che i provvedimenti dell’Anac in materia di contratti pubblici rientrino, senza distinzioni, nell’ambito applicativo del rito previsto dall’art. 120 c.p.a., con la conseguenza che il termine di decadenza di trenta giorni per l’impugnazione si applica, oggi, indistintamente a tutti i provvedimenti dell’Anac che riguardano la competenza in materia di appalti pubblici, comprese, quindi le sanzioni applicate ai sensi dell’art. 222, d. lgs. n. 36/23. La novella è, quindi, intervenuta ampliando l’ambito applicativo del rito in questione. Infatti, mentre l’art. 120 co. 1, c.p.a. nella formulazione anteriore al d.lgs. n. 36/2023 faceva riferimento ai provvedimenti dell’Anac “ad essi riferiti” (da intendersi, quindi, come gli atti delle procedure di affidamento) l’attuale art. 120, co. 1, c.p.a. si riferisce più genericamente ai “provvedimenti dell’ANAC in materia di contratti pubblici”, dal tenore letterale più esteso, che consente di far riferimento anche ai provvedimenti dell’Anac emessi in una fase successiva all’aggiudicazione, come, ad esempio, quella di esecuzione del contratto. In altri termini la scelta del legislatore di modificare la norma, inserendo un riferimento ai “contratti pubblici” e non più agli “atti riferiti” (alle procedure di affidamento) non può che essere intesa nel senso di ricomprendere nel solco dell’art. 120 c.p.a. tutte le competenze dell’Anac in materia di contratti pubblici. Non si spiegherebbe altrimenti la scelta di modificare il tenore letterale della disposizione, se non con l’intenzione di volersi discostare da quella precedente. Il regime in precedenza vigente, infatti, si era assestato nel senso di ritenere l’applicabilità del rito ai sensi dell’art. 120 c.p.a. al caso in cui i provvedimenti dell’Autorità venissero impugnati unitamente agli atti di una procedura ad evidenza pubblica. Invece, nel caso in cui il gravame diretto alla contestazione del solo provvedimento dell’Anac, prima del d.lgs. n. 36/2023, non si applicava il rito speciale, ma restava applicabile l’art. 119, c.p.a., tra le cui materie vi sono i provvedimenti delle Autorità amministrative indipendenti. Il che implicava anche una diversa scansione temporale, proprio a partire dal termine di proposizione del ricorso, che nel rito dell’art. 119 c.p.a. è di sessanta giorni, in quello dell’art. 120 c.p.a. è di trenta giorni. Con la novella introdotta dal d.lgs. n. 36/2023, i provvedimenti dell’Anac in materia di contratti pubblici, anche se impugnati autonomamente e non in connessione con atti di gara sono, quindi, soggetti al rito ex art. 120 c.p.a. e non più a quello ex art. 119 c.p.a., con tutte le relative implicazioni, a partire dal termine di 30 giorni per la proposizione del ricorso di primo grado, non più di 60 giorni.
2. Nel processo amministrativo, la rimessione in termini per errore scusabile è istituto di carattere eccezionale che può trovare applicazione nel caso in cui, nel caso concreto, sia apprezzabile una qualche giustificata incertezza sugli strumenti di tutela utilizzabili da parte del destinatario dell’atto. I presupposti che giustificano l’eventuale concessione della remissione in termini, quindi, devono sempre riguardare il caso concreto e la verifica di una condizione di giustificata incertezza sugli strumenti di tutela utilizzabili da parte del destinatario dell’atto, dovuta ad una situazione normativa obiettivamente ambigua o confusa, ad uno stato di incertezza per le oggettive difficoltà di interpretazione di una norma, per la particolare complessità della fattispecie concreta o ad eventuali sopravvenute modifiche normative. In argomento, la giurisprudenza amministrativa ha affermato che l’omessa indicazione da parte della pubblica amministrazione, nei provvedimenti amministrativi, in violazione dell’art. 3, co. 4, l. n. 241/1990, del termine per l’impugnazione, seppure non comporta la loro illegittimità, reca con sé la possibilità di riconoscere l’errore scusabile ai fini della tempestività del ricorso. Va precisato che non si tratta di un esito scontato, (cfr. in proposito, Cons. St., Ad. Plen., 14 febbraio 2001 n. 1) in quanto occorre sempre verificare, caso per caso, che l’omissione determini una giustificata incertezza sugli strumenti di tutela utilizzabili da parte del destinatario dell’atto, posto che un ricorso generalizzato a tale istituto, in caso contrario, si risolverebbe in un’indiscriminata deroga alla necessità di rispettare il termine di decadenza.
3. In merito alla natura del termine per per l’avvio del procedimento sanzionatorio Anac, il consolidato orientamento espresso dalla giurisprudenza amministrativa sul corretto esercizio del potere sanzionatorio è nel senso della perentorietà dei termini del relativo procedimento. L’orientamento muove dal principio generale secondo cui, nell’ambito dei procedimenti sanzionatori, i termini procedimentali – reputati generalmente ordinatori – sono perentori, per ragioni che risiedono nella potenziale afflittività dell’esito del procedimento e nella correlata esigenza di contenere la risposta repressiva in un ambito di stretta legalità. In proposito, il Consiglio di stato, con sent. n. 10197/22, in una fattispecie relativa alla tardività della segnalazione che ha condotto all’avvio di un procedimento ai sensi dell’art. 80, co. 12, e 213, co. 13, d.lgs. n. 50/2016, con riferimento al termine stabilito dall’art. 10, co. 2, del Regolamento sull’esercizio del potere sanzionatorio di Anac ha chiarito: “occorre che l’amministrazione (pur in assenza di una espressa qualificazione come perentorio di un termine stabilito) agisca comunque in modo tempestivo, rispettando l’esigenza del cittadino di certezza, nella specifica accezione di prevedibilità temporale, delle conseguenze derivanti dall’esercizio dei pubblici poteri, e che, ove protragga in modo ingiustificato l’esercizio del potere, dia puntuale motivazione delle ragioni che le hanno, in ipotesi, impedito di applicare la sanzione in contiguità temporale con l’accertamento dell’illecito (negli stessi termini Cons. Stato, VII, 14 febbraio 2022, n. 1081)“. Ciò in quanto nell’ambito dei procedimenti sanzionatori trova applicazione il principio di “stretta tipicità legale”, precisando che “per una ragione anche di interesse pubblico superiore, il potere sanzionatorio va esercitato a non eccessiva distanza dai fatti che ne costituiscono il fondamento: ciò anche per la particolare afflittività della potestà sanzionatoria, essendo i procedimenti sanzionatori “micromodelli” di processi penali laddove l’ordinamento ritiene sufficiente restare all’interno dell’ordinamento amministrativo (così Cons. Stato, VI, 19 gennaio 2021, n. 584).”. Proprio la peculiarità del procedimento sanzionatorio , quindi, giustifica la deroga rispetto al generale paradigma del procedimento amministrativo di cui alla legge n. 241/1990, in cui è pacifico, invece, che lo spirare del termine per provvedere non determina conseguenze invalidanti sul provvedimento tardivamente adottato: “In particolare, nel procedimento sanzionatorio (ove l’interesse dell’amministrato è quello che il procedimento si concluda tempestivamente con un provvedimento a lui favorevole) la previsione di un “tempo procedimentale” garantisce che l’accertamento della violazione non sia distante dalla sua punizione: ciò in quanto il tempo dell’agire amministrativo sostiene nell’ipotesi dell’esercizio potere sanzionatorio il soddisfacimento di interessi ulteriori rispetto al mero rilievo dell’avvenuta infrazione. È evidente, infatti, che il carattere effettivo e dissuasivo della sanzione è fortemente condizionato dal rispetto della tempistica procedimentale, poiché se l’irrogazione della sanzione avvenisse a distanza di tempo sia dalla sua commissione che dal suo accertamento potrebbe fallire il suo obiettivo (in tali esatti termini, Cons. Stato, V, n. 584/2021 cit.).” (cfr. ancora Consiglio di stato, con sent. n. 10197/22). Tale orientamento, formatosi nel vigore della precedente disciplina, trova conferma anche in quella attuale, adottata in seguito all’entrata in vigore del d.lgs. n. 36/23, con Delibera n. 271 del 20 giugno 2023 (Regolamento sull’esercizio del potere sanzionatorio dell’Autorità in materia di contratti pubblici, ai fini dell’adeguamento alle nuove disposizioni del decreto legislativo 31 marzo 2023 n. 36), trattandosi di principi dall’evidente carattere generale che devono informare tutti i procedimenti che conducono all’applicazione di una sanzione ai sensi della l. n. 689/81.

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