La preferenza espressa dalla giurisprudenza amministrativa per la tesi del c.d. “termine secco”, in attesa della nuova disciplina sull’accesso agli atti di cui agli artt. 35 e 36 del d.lgs. n. 36/2023, “efficace” dal 1° gennaio 2024
I.- Premessa.
Come è noto, in vigenza (dell’art. 53) del Codice del 2016, la questione dell’esatta individuazione del termine di impugnazione dei provvedimenti in materia di affidamento dei contratti pubblici è stata esaminata, nelle sue linee di fondo, dalla nota e importante decisione dell’Adunanza Plenaria n. 12 del 2020, la quale si è soffermata su due aspetti concorrenti:
a) l’idoneità della “pubblicazione generalizzata” degli atti di gara sul profilo internetdella stazione appaltante a far decorrere il termine di impugnazione, in relazione a quei vizi percepibili direttamente ed immediatamente dai provvedimenti oggetto di pubblicazione;
b) la corretta individuazione del termine per proporre il ricorso introduttivo nelle ipotesi di vizi conoscibili solo in esito all’accesso agli atti di gara.
La giurisprudenza successiva ha poi affinato gli esiti di tale indagine fino a giungere a un’articolata modulazione, ben illustrata dalla sentenza del Consiglio di Stato, Sez. V, n.2736 del 15.3.3023, del momento a partire dal quale decorre il termine di impugnazione dell’aggiudicazione.
In particolare, il dies a quo è stato fatto coincidere:
a) in via di principio, dalla pubblicazione generalizzata degli atti di gara, comprensiva anche dei verbali ai sensi dell’art. 29, comma 1, del d.lgs. n. 50 del 2016;
b) dall’acquisizione, per richiesta della parte o per invio d’ufficio, delle informazioni di cui all’art. 76 del d.lgs. n. 50/2016, ma (solo) a condizione che esse permettano di avere ulteriori elementi per apprezzare i vizi già individuati o per accertarne altri, così da consentire la presentazione, non solo dei motivi aggiunti, ma anche del ricorso principale;
c) con “dilazione temporale”, nel caso di proposizione dell’istanza di accesso agli atti, se i motivi di ricorso conseguano alla conoscenza dei documenti che completano l’offerta dell’aggiudicatario, ovvero delle giustificazioni rese nell’ambito del procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta;
d) dalla comunicazione o dalla pubblicità nelle forme individuate negli atti di gara ed accettate dai partecipanti alla gara, purché gli atti siano comunicati o pubblicati unitamente ai relativi allegati (cfr. ex multis, Stato, Sez. V, 5 aprile 2022, n. 2525; Sez. V, 19 gennaio 2021, n. 575).
II.- Gli orientamenti della giurisprudenza in tema di “dilazione temporale”.
Con specifico riferimento all’ipotesi della “dilazione temporale” sub lettera c) si sono formati tre diversi orientamenti ciascuno dei quali poggia sul presupposto della tempestiva formalizzazione dell’istanza di accesso entro, cioè, il termine di quindici giorni previsti dall’art. 76, comma 2, d.lgs. n.50/2016. Se l’istanza di accesso è tardiva, successiva cioè al quindicesimo giorno dalla comunicazione o pubblicazione del provvedimento di aggiudicazione, non opera, infatti, la “dilazione temporale” in coerenza con il canone di auto-responsabilità dell’operatore economico che concorre a gare pubbliche e della correlata necessità di evitare che il termine di impugnazione possa rimanere aperto o modulato ad libitum.
Il primo orientamento propende per il termine “secco” (non modulabile) di 45 giorni (30+15). Se l’istanza di accesso è tempestiva e parimenti tempestivo è il riscontro ostensivo da parte della stazione appaltante, il termine per impugnare (di trentagiorni) subisce una “
corrispondente dilazione temporale” (di quindici giorni); di tal che, in definitiva, il ricorso deve essere proposto entro il termine massimo (certo ed obiettivo) di 45 giorni (dalla comunicazione o pubblicazione):<<una volta avuta conoscenza del provvedimento di aggiudicazione, in una delle diverse modalità possibili […] il concorrente pregiudicato è tenuto nel termine di quarantacinque giorni a presentare istanza di accesso ai documenti e a proporre impugnazione, salvo l’ipotesi eccezionale di comportamento ostruzionistico tenuto dall’amministrazione>> ( Cons. Stato, Sez. V, 16 aprile 2021, n. 3127; Cons. St., Sez. V, 5.4.2022, n. 2525).
Il secondo orientamento ritiene, per contro, doversi concedere in ogni caso il termine ordinario di trenta giorni per impugnare gli atti di gara, con decorso dalla evasione dell’istanza ostensiva (Cons. Stato, Sez. III, 15 marzo 2022, n. 1792; Sez. V, 29 novembre 2022, n. 10470). Tale orientamento rileverebbe soprattutto nel caso di comportamenti ostruzionistici e dilatori imputabili alla stazione appaltante, che non dia puntuale riscontro alla tempestiva istanza di accesso, ovvero la evada successivamente al termine di quindici giorni dalla ricezione. In tal caso, infatti, il termine per impugnare (trattandosi di vizi conoscibili solo in esito all’accesso) non inizia a decorrere se non dal momento dell’ostensione della documentazione richiesta (sicché, più che di vera e propria “dilazione temporale”, in tal caso finisce per operare una autonoma e nuova decorrenzadel termine).
Un terzo orientamento (ispirato alla tesi della c.d. “sottrazione dei giorni”: cfr. T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III-quater, 15 dicembre 2020, n. 13550; T.A.R. Umbria, Sez. I, 19 ottobre 2021, n. 736) ritiene, invece, che – fermo restando che il rifiuto o il differimento dell’accesso da parte della stazione appaltante non determina la “consumazione” del potere di impugnare – ogni eventuale giorno di ritardo del concorrente non aggiudicatario che intenda accedere agli atti deve essere computato, a suo carico, sul termine complessivamente utile per proporre gravame.
Così, <<se l’impresa interessata presenta immediatamente istanza di accesso ha a disposizione l’integrale termine di 30 giorni per formulare censure derivanti dalla presa visione della documentazione, decorrenti dal momento in cui riceve il riscontro della Stazione appaltante. Se invece l’impresa non procede all’immediata presentazione dell’istanza di accesso, il relativo ritardo determina una progressiva erosione dei giorni a disposizione per impugnare … atteso che l’inerzia dell’impresa istante non può costituire un mezzo a disposizione dell’impresa per dilatare ad libitum i termini di legge.>> (TAR Lazio, Roma, sez. III-quater, 24 novembre 2020, n. 12480).
III.- La “conoscenza utile” ai fini della decorrenza del termine per impugnare.
Rilevano poi, in una prospettiva più generale alla luce della quale andrebbero letti gli orientamenti sub nn. 2 e 3, alcune ulteriori e puntuali prese di posizione della giurisprudenza, la quale ha enfatizzato, ai fini dell’individuazione del dies a quo per la decorrenza del termine di impugnazione, la circostanza fattuale della “conoscibilità” dei documenti richiesti, anziché la data di effettiva acquisizione materiale degli stessi.
Nello specifico, è stato evidenziato che, in caso di presentazione dell’istanza di accesso, << … il termine di impugnazione degli atti di gara non inizierà a decorrere solo dalla conoscenza dei medesimi atti da parte del ricorrente, ma da un momento antecedente, ossia quello in cui il ricorrente avrebbe potuto ottenere i documenti richiesti, ma che non ha ottenuto per un suo ritardo nell’azione di accesso, atteso che sempre secondo quanto statuito da Adunanza Plenaria n. 12/2020,>> si deve <<… comunque tenere conto anche di quando l’impresa avrebbe potuto avere conoscenza degli atti, con una condotta ispirata alla ordinaria diligenza, in quanto, altrimenti, con condotte dilatorie ad hoc, l’impresa potrebbe avvalersi di un termine di impugnazione maggiore di quello previsto per legge>> (cfr. TAR Emilia-Romagna, sez. I, Parma, 22 luglio 2020, n. 139).
In senso analogo, si sono espressi TAR Piemonte, Sez. II, 24.11.2022, n. 1019 (già oggetto di segnalazione in questa Rivista: “Sulle condizioni di ammissibilità dell’accesso c.d. difensivo nelle procedure di affidamento dei contratti pubblici e sulla conoscenza utile ai fini della decorrenza del termine per impugnare”, di E. Papponetti, www.appaltiecontratti.it, febbraio 2023) e TAR Calabria, Catanzaro, Sez. I, 24.7.2023, n. 1065.
Quest’ultima decisione, in particolare, ha esaminato il caso di un operatore economico che, dopo aver presentato istanza di accesso in data 10.1.2023 e ricevuto comunicazione dalla stazione appaltante che “gli atti richiesti [erano] disponibili presso gli uffici” dall’1.2.2023, effettuava l’accesso soltanto il successivo 9.2.2023 per poi notificare il ricorso il 9.3.2023, ovvero nel termine di trenta giorni dall’ostensione degli atti.
Il TAR ha dichiarato l’irricevibilità per tardività del ricorso, evidenziando, da un lato, che <<il dies a quo per il decorso del termine per la proposizione del gravame doveva essere individuato non nel 9.2.2023, ma nell’1.02.2023 giorno in cui gli atti erano suscettibili di immediata ostensione e non sussisteva alcun impedimento alla relativa estrazione di copia ad opera del Comune>> e precisando, dall’altro, che <<la circostanza che l’esponente abbia eseguito l’accesso il 9.02.2023 non può di contro comportare un ulteriore differimento della decorrenza del perentorio termine di proposizione del gravame>>, posto che non può ritenersi ammissibile <<una dilatazione temporale del termine di impugnazione rimessa all’autonoma iniziativa dell’operatore economico il quale, in linea teorica, bene avrebbe potuto … acquisire la documentazione richiesta anche in data successiva, con una inevitabile ricaduta negativa sulla certezza dell’azione amministrativa e dei rapporti giuridici>>.
III.- La sentenza del Consiglio di Stato, Sez. III, 8.11.2023, n. 9599.
Tornando al criterio della “dilazione temporale”, si osserva come il primo dei tre orientamenti suindicati sia quello al quale la giurisprudenza più recente sembra volere definitivamente aderire.
In tal senso, si è espresso, ad esempio, TAR Campania, Salerno, Sez. I, 4.7.2023 n. 1620, e, da ultimo, il Consiglio di Stato (Sezione III) con la sentenza n. 9599 dell’8.11.2023.
In tale occasione, i Giudici di Palazzo Spada sono stati investiti della cognizione della domanda di riforma della sentenza del giudice di prime cure, che aveva dichiarato l’irricevibilità del ricorso per tardività della relativa notificazione, avendo l’operatore economico ricorrente in primo grado impugnato l’aggiudicazione della procedura, dopo aver avuto accesso agli atti di gara, oltre il termine di 45 giorni dalla comunicazione di tale provvedimento.
Il Consiglio di Stato, ricostruita la vicenda fattuale (il provvedimento di aggiudicazione veniva comunicato il 16.2.2023; in data 24.1.2023 la ricorrente aveva inoltrato un’istanza “prematura” di accesso agli atti; in data 2.3.2023 la stazione appaltante comunicava alla ricorrente di non poter trasmettere a mezzo pec la documentazione, ma che sarebbe stato possibile acquisirla recandosi personalmente presso i propri uffici; in data 8.3.2023 la ricorrente ritirava materialmente copia della documentazione richiesta; il ricorso avverso l’aggiudicazione veniva notificato il 7.4.2023) e richiamati gli orientamenti giurisprudenziali formatisi sul tema nella prospettiva di quanto chiarito dall’Adunanza Plenaria n. 12/2020, ha statuito che <<In ordine al criterio della dilazione temporale si ritiene che vada preferito l’orientamento che propende per il cosiddetto “termine secco” e cioè per una dilazione non modulabile oltre i 45 giorni derivanti dalla somma 30 più 15 (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 16 aprile 2021, n. 3127)>>, soggiungendo che <<Tale posizione appare infatti la più in sintonia con le indicazioni espresse dall’Adunanza Plenaria n. 12 del 2020 ed in ogni caso sembra assicurare una impostazione più coerente allo sviluppo dei contenziosi in una materia rilevante quale quella dei contratti pubblici caratterizzata da crescenti esigenze di celerità>>.
La presa di posizione del Consiglio di Stato sul tema in esame sembrerebbe, peraltro, definitiva atteso quanto precisato dagli stessi Giudici nel momento in cui hanno affermato che <<sul punto non si ritiene necessaria una rimessione all’Adunanza Plenaria le cui conclusioni … sono state ampiamente richiamate nella fattispecie in esame>>.
Non sono poi mancati spazi per stigmatizzare la condotta dell’operatore economico, che dopo aver presentato “prematuramente” (prima cioè dell’aggiudicazione) l’istanza di accesso – istanza comunque mantenuta valida dalla Stazione appaltante – avrebbe avuto a disposizione uno spazio temporale pari a 26 giorni per la notificazione del ricorso entro il 45° giorno dalla comunicazione, ma ha deliberatamente ritenuto di attendere il 30° giorno dalla materiale apprensione dei documenti.
In sostanza, il Consiglio di Stato, escluso che nella fattispecie ricorresse una condotta ostativa della Stazione appaltante, ha ritenuto di privilegiare la tesi del c.d. “termine secco” (dando prevalenza al primo dei suindicati orientamenti) e valorizzato gli assunti della giurisprudenza, più sopra richiamati, tesi a dare rilievo al momento in cui gli atti e i documenti sono effettivamente “conoscibili”.
Gli ultimi arresti giurisprudenziali sul termine di impugnazione dell’aggiudicazione nelle ipotesi di vizi conoscibili solo a seguito dell’accesso agli atti di gara
La preferenza espressa dalla giurisprudenza amministrativa per la tesi del c.d. “termine secco”, in attesa della nuova disciplina sull’accesso agli atti di cui agli artt. 35 e 36 del d.lgs. n. 36/2023, “efficace” dal 1° gennaio 2024
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento