Informazione interdittiva antimafia e presupposti di applicazione

TAR Lombardia Milano sez. I 16 ottobre 2023 n. 2327

28 Gennaio 2024
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Informazione interdittiva antimafia – Funzione – Presupposti di applicazione – Rilevanza di rapporti di parentela – Rilevanza di fatti risalenti nel tempo – Sindacato del giudice amministrativo

1. Ai fini dell’adozione dell’interdittiva antimafia, non è richiesta la prova dell’attualità delle infiltrazioni mafiose, dovendosi solo dimostrare la sussistenza di elementi dai quali è deducibile, secondo il principio del “più probabile che non” il tentativo di ingerenza, o una concreta verosimiglianza dell’ipotesi di condizionamento sulla società da parte di soggetti uniti da legami con cosche mafiose, e dell’attualità e concretezza del rischio (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 22 maggio 2023, n. 5024). La funzione di “frontiera avanzata” dell’informazione antimafia nel continuo confronto tra Stato e anti-Stato impone, a servizio delle Prefetture, un uso di strumenti, accertamenti, collegamenti, risultanze, necessariamente anche atipici come atipica, del resto, è la capacità, da parte delle mafie, di perseguire i propri fini. E solo di fronte ad un fatto inesistente od obiettivamente non sintomatico il campo valutativo del potere prefettizio, in questa materia, deve arrestarsi (Consiglio di Stato, Sez. III, 2.11.2020, n. 6740; Cons. St., Sez. III, 30 gennaio 2019, n. 758). In definitiva, l’interdittiva antimafia, per la sua natura cautelare e per la sua funzione di massima anticipazione della soglia di prevenzione, non richiede la prova di un fatto, ma solo la presenza di una serie di indizi in base ai quali non sia illogico o inattendibile ritenere la sussistenza di un collegamento con organizzazioni mafiose o di un condizionamento da parte di queste. Pertanto, ai fini della sua adozione, da un lato, occorre non già provare l’intervenuta infiltrazione mafiosa, bensì soltanto la sussistenza di elementi sintomatico-presuntivi dai quali, secondo un giudizio prognostico latamente discrezionale, sia deducibile il pericolo di ingerenza da parte della criminalità organizzata; dall’altro lato, detti elementi vanno considerati in modo unitario, e non atomistico, cosicché ciascuno di essi acquisti valenza nella sua connessione con gli altri. Sotto questo profilo, rileva il complesso degli elementi concreti emersi nel corso del procedimento; in altri termini, una visione parcellizzata di un singolo elemento, o di più elementi, non può che far perdere a ciascuno di essi la sua portata nel legame sistematico con gli altri (Consiglio di Stato, Sez. III, 7.8.2023, n. 7625).

2. Ai fini dell’adozione dell’informazione interdittiva antimafia, l’Amministrazione può dare rilievo anche ai rapporti di parentela tra titolari e familiari che siano soggetti affiliati, organici o contigui a contesti malavitosi, laddove tali rapporti, per loro natura, intensità, o per altre caratteristiche concrete, lascino ritenere, secondo criteri di verosimiglianza, che l’impresa ovvero che le decisioni sulla sua attività possano essere influenzate, anche indirettamente, dalla criminalità organizzata(ex multis, Consiglio di Stato, Sez. III, 19.7.2023, n. 7061). Tale influenza può essere desunta dalla doverosa constatazione che l’organizzazione mafiosa tende a strutturarsi secondo un modello “clanico”, che si fonda e si articola, a livello particellare, sul nucleo fondante della famiglia, sicché in una famiglia mafiosa anche il soggetto che non sia attinto da pregiudizio mafioso – pur quando comincia un’attività economica – può subire, nolente, l’influenza, diretta o indiretta, del capofamiglia e dell’associazione. A comprovare la verosimiglianza di tale pericolo assumono rilevanza da un lato, sia circostanze obiettive, come la convivenza, la cointeressenza di interessi economici o la mancata giustificazione dei mezzi necessari per lo svolgimento di attività, il coinvolgimento nei medesimi fatti che pur non abbiano dato luogo a condanne; sia le peculiari realtà locali, ben potendo l’Amministrazione evidenziare come sia stata accertata l’esistenza su un’area più o meno estesa del controllo di una “famiglia” e del sostanziale coinvolgimento dei suoi componenti. Il puntuale riferimento ai vincoli familiari con soggetti controindicati, doverosamente rilevato nei provvedimenti prefettizi, non esprime, dunque, alcuna presunzione tesa ad affermare che il legame parentale implica necessariamente la sussistenza del pericolo di infiltrazione mafiosa, ma vale a descrivere la situazione, concreta ed attuale, nella quale l’impresa si trova ad operare. La rilevanza sintomatica di tali legami può risultare ulteriormente corroborata, oltre che dai caratteri ad essa intrinseci o estrinseci sin qui riepilogati, anche dal fatto che il destinatario della misura non abbia dato prova di alcuna sua scelta di allontanarsi o di emanciparsi dal contesto familiare di riferimento e della liceità delle fonti di provenienza delle sue risorse economiche (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 20 ottobre 2022, n. 8926).

3. Ai fini dell’adozione dell’interdittiva antimafia, l’Amministrazione può dare rilievo anche a fatti risalenti nel tempo, purché dall’analisi del complesso delle vicende esaminate emerga, comunque, un quadro indiziario idoneo a giustificare il necessario giudizio di attualità e di concretezza del pericolo di infiltrazione mafiosa nella gestione dell’attività di impresa, se è vero che il mero decorso del tempo è in sé un elemento neutro, che non smentisce da solo la persistenza di legami, vincoli e sodalizi e, comunque, non dimostra da solo l’interruzione di questi, se non corroborato da ulteriori e convincenti elementi probatori, e ciò in quanto l’infiltrazione mafiosa, per la natura stessa delle organizzazioni criminali dalla quale promana e per la durevolezza dei legami che essi instaurano con il mondo imprenditoriale, ha una stabilità di contenuti e, insieme, una mutevolezza di forme, economiche e giuridiche, capace di sfidare il più lungo tempo e di occupare il più ampio spazio disponibile (T.A.R. Emilia Romagna – Parma, Sez. I, 29.6.2023, n. 214; v. ancora, tra le altre, Cons. Stato, Sez. V, 11 aprile 2022, n. 2712). In altri termini, l’interdittiva antimafia può essere legittimamente fondata anche su fatti che sono risalenti nel tempo, purché dall’analisi complessiva delle vicende esaminate emerga, comunque, un quadro indiziario che sia idoneo a giustificare il necessario giudizio di attualità e di concretezza del pericolo di infiltrazione mafiosa (Consiglio di Stato, Sez. III, 10.5.2023, n. 4733; Cons. Stato, Sez. V, 11 aprile 2022, n. 2712, Id., 6 giugno 2022, n. 4616).

4. Con riguardo al sindacato del giudice amministrativo sull’esercizio del potere prefettizio, lo stesso è chiamato a valutare la gravità del quadro indiziario, posto a base della valutazione prefettizia in ordine al pericolo di infiltrazione mafiosa, con un pieno accesso ai fatti rivelatori del pericolo. Ciò consente non solo di sindacare l’esistenza o meno di questi fatti, che devono essere gravi, precisi e concordanti, ma di apprezzare la ragionevolezza e la proporzionalità della prognosi inferenziale che l’Autorità amministrativa trae da quei fatti secondo un criterio che, necessariamente, è probabilistico per la natura preventiva, e non sanzionatoria, della misura in esame. Il sindacato per eccesso di potere sui vizi della motivazione del provvedimento amministrativo, anche quando questo rimandi per relationem agli atti istruttori, scongiura il rischio che la valutazione del Prefetto divenga, appunto, una “pena del sospetto” e che la portata della discrezionalità amministrativa in questa materia, necessaria per ponderare l’esistenza del pericolo infiltrativo in concreto, sconfini nel puro arbitrio. 

5. Secondo l’orientamento consolidato e monolitico della giurisprudenza amministrativa, per vagliare l’apprezzamento discrezionale fatto dal Prefetto in ordine alla ritenuta esposizione di un’impresa al rischio di un condizionamento mafioso, il giudice si deve attenere (quale parametro generale) al criterio che le risultanze dell’istruttoria prefettizia debbano essere valutate unitariamente nel loro complesso, per cui non vanno analizzati singolarmente gli specifici fatti ed elementi di giudizio, che, provenienti da varie fonti, sono confluiti nella motivazione del provvedimento interdittivo (Consiglio di Stato, Sez. III, 15.4.2019, n. 2413).

Redazione