La certificazione rilasciata dall’Agenzia delle Entrate non è sufficiente a dimostrare il requisito della regolarità fiscale

A cura di Michele Di Michele

10 Maggio 2024
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L’omesso pagamento delle sanzioni irrogate a seguito del mancato versamento del contributo unificato integra la causa di esclusione prevista dall’art. 80, comma 4, del D.Lgs. n. 50 del 2016 ancorché tale irregolarità fiscale non risulti dalla certificazione dell’Agenzia delle Entrate acquisita dalla stazione appaltante in sede di verifica sul possesso dei requisiti

Indice

1. Premessa

L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (sentenza 24 aprile 2024, n. 7) ha enunciato il principio di diritto per cui l’omesso pagamento delle sanzioni irrogate a seguito del mancato versamento del contributo unificato integra la causa di esclusione prevista dall’art. 80, comma 4, del D.Lgs. n. 50 del 2016, ancorché tale irregolarità venga sanata prima dell’aggiudicazione e la stessa non risulti dalla certificazione rilasciata dall’Agenzia delle Entrate acquisita dalla stazione appaltante in sede di verifica sul possesso dei requisiti.
La questione era stata sollevata dal Consiglio di Stato (Sez. III,  4 gennaio 2024, n. 161) nell’ambito di una controversia in cui la ricorrente, seconda graduata in una procedura di gara, contestava la violazione dell’art. 80 del D.Lgs. 50/2016 per avere la ditta aggiudicataria omesso di dichiarare inadempienze di oneri fiscali per contributi unificati in azioni avviate avanti al Giudice Amministrativo non risultanti dalla certificazione rilasciata dall’Agenzia delle Entrate.

Nello specifico, la ricorrente, invocando la generale regola della necessaria continuità nel possesso dei requisiti di partecipazione per tutta la durata della procedura di gara, contestava che la controinteressata avesse perduto in corso di gara il requisito della regolarità fiscale senza che la stazione appaltante ne avesse preso atto e avesse assunto le necessarie determinazioni in punto di esclusione della stessa dalla procedura selettiva.

Di contro, la controinteressata deduceva l’inammissibilità dell’azione avversaria richiamando il consolidato indirizzo giurisprudenziale che esclude ogni facoltà per la stazione appaltante di sindacare le risultanze delle certificazioni rilasciate dalle autorità competenti (nella specie, l’Agenzia delle Entrate), le quali fanno fede della regolarità dell’operatore economico sotto il profilo fiscale.

2. La rimessione della questione all’Adunanza Plenaria

Il Consiglio di Stato, Sez. III, nel rimettere la questione all’Adunanza Plenaria, rilevava un possibile contrasto applicativo tra

– l’orientamento giurisprudenziale sostenuto dalla ricorrente che afferma la necessità che i requisiti di ammissione siano posseduti dal concorrente a partire dal momento della presentazione dell’offerta e sino alla stipula del contratto e poi ancora fino all’adempimento dell’obbligazione contrattuale;
e
– l’orientamento giurisprudenziale sostenuto dalla controinteressata secondo cui, nelle gare pubbliche, le certificazioni relative alla regolarità contributiva e tributaria delle imprese partecipanti, emanate dagli organi preposti, si impongono alle stazioni appaltanti che non possono in alcun modo sindacarne il contenuto, non residuando alle stesse alcun potere valutativo sul contenuto o sui presupposti di tali certificazioni.

L’applicazione contestuale dei richiamati indirizzi in vicende come quella qui considerata, sarebbe suscettibile, secondo la prospettazione del Giudice remittente, di determinare incertezze applicative, non risultando chiaro, in particolare, se sia sufficiente un accertamento “puntuale” eseguito dalla stazione appaltante mediante l’acquisizione della certificazione in un determinato momento della procedura (che, di regola, coinciderà con quella della verifica delle dichiarazioni rese dal concorrente sul possesso dei requisiti di partecipazione) oppure se, per converso, sussista ininterrottamente un obbligo per la stazione appaltante di verificare l’eventuale esistenza di irregolarità.

Inoltre, emerge il tema processuale se sia consentito al concorrente, il quale impugni l’aggiudicazione, di andare al di là di quanto è attestato nella certificazione acquisita dalla stazione appaltante in corso di procedura ai fini della comprova dei requisiti e, quindi, documentare la sussistenza di irregolarità “escludenti” in un qualsiasi momento della procedura di gara diverso da quello in cui quest’ultima ha condotto le proprie verifiche.

3. La decisione dell’Adunanza Plenaria

L’Adunanza Plenaria, nell’affermare la sussistenza della causa di esclusione per irregolarità fiscale, muove dal presupposto che il contrasto giurisprudenziale ipotizzato dalla Sezione remittente non è in realtà sussistente.

Invero, sotto il profilo della prova circa la sussistenza del requisito, veniva ribadita la validità dell’orientamento per il quale i certificati rilasciati dalle autorità competenti in ordine alla regolarità fiscale o contributiva del concorrente hanno natura di dichiarazioni di scienza e si collocano fra gli atti di certificazione o di attestazione facenti prova fino a querela di falso, per cui essi si impongono alla stazione appaltante esonerandola da ulteriori accertamenti circa la veridicità della dichiarazione all’uopo resa dal concorrente in sede di gara, come si desume dall’art. 86, comma 2, del D. Lgs. 18 aprile 2016, n. 80, applicabile ratione temporis alla fattispecie.

Sotto il distinto profilo del regime sostanziale dei requisiti di ammissione previsti dalla lex specialis, veniva altresì ribadito l’ulteriore orientamento che afferma la necessità che il concorrente che partecipa a una procedura a evidenza pubblica deve possedere, continuativamente, i requisiti di ammissione, da cui discende il dovere in capo al concorrente di comunicare alla stazione appaltante le eventuali cause di esclusione dalla gara verificatesi in un momento successivo alla presentazione dell’offerta e il correlativo dovere della stazione appaltante di compiere i relativi accertamenti con riguardo all’intero periodo.
La regola si desume dall’art. 80, comma 6, del D.Lgs. 50/2016, il quale stabilisce che: “Le stazioni appaltanti escludono un operatore economico in qualunque momento della procedura, qualora risulti che l’operatore economico si trova, a causa di atti compiuti o omessi prima o nel corso della procedura, in una delle situazioni di cui ai commi 1,2, 4 e 5”.
Quanto alla possibilità per il concorrente che impugna l’aggiudicazione di dimostrare la carenza del requisito di regolarità fiscale dell’aggiudicatario nonostante dalle certificazioni rilasciate non emergano pendenze a suo carico, è stato infine precisato che compete al giudice amministrativo accertare, in via incidentale (ossia senza efficacia di giudicato nel rapporto tributario o previdenziale/assistenziale), nell’ambito del giudizio relativo all’affidamento del contratto pubblico, la idoneità e la completezza della certificazione presa in considerazione, quale atto interno della fase procedimentale di verifica dei requisiti di ammissione dichiarati dal concorrente.

Chiariti i suesposti principi, l’Adunanza plenaria decideva nel merito dell’appello accogliendo la doglianza proposta dalla ricorrente in punto di irregolarità fiscale dell’aggiudicataria.
Nello specifico, veniva accertata la sussistenza di un debito col Segretariato Generale della Giustizia amministrativa, derivante dal mancato pagamento di una sanzione (nella specie pari a 18.000 euro), irrogata in conseguenza del ritardato pagamento del contributo unificato dovuto per l’iscrizione a ruolo di un ricorso in appello.

A tale riguardo, veniva preliminarmente rilevato che il contributo unificato va ascritto alla categoria delle entrate tributarie, delle quali condivide tutte le caratteristiche essenziali, quali la doverosità della prestazione e il collegamento della stessa ad una pubblica spesa, cioè quella per il servizio giudiziario, con riferimento ad un presupposto economicamente rilevante.
Identica natura fiscale veniva riconosciuta alle sanzioni pecuniarie conseguenti al mancato o al ritardato pagamento del contributo unificato, trattandosi di obbligazioni accessorie che hanno fondamento in un rapporto di tipo tributario (si richiamava in proposito l’art. 2, comma 1, del D. Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, che attribuisce la giurisdizione sulle sanzioni in parola al Giudice Tributario).

Ciò posto, la violazione della detta obbligazione tributaria veniva ritenuta grave e definitivamente accertata: “grave”, in quanto superiore alla soglia di 5.000 euro, fissata dall’art. 48-bis, commi 1 e 2-bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, espressamente richiamato dall’art. 80, comma 4, del D. Lgs. n. 50/2016, nonché “definitivamente accertata” poiché l’invito di pagamento era stato, correttamente, notificato alla aggiudicataria all’indirizzo del difensore presso il quale aveva eletto domicilio e non era stato impugnato con conseguente cristallizzazione dell’obbligazione concernente tanto il contributo unificato quanto la sanzione tributaria.

Nel descritto contesto, non assume rilievo il fatto che al momento della presentazione dell’offerta nel cassetto fiscale non risultassero pendenze tributarie o che dalle certificazioni emesse da Agenzie delle Entrate e ANAC tramite AVCPASS risultasse la regolarità fiscale dell’operatore economico giacché il “il contributo unificato non rientra tra le imposte amministrate dall’Agenzia delle Entrate, per cui i debiti a esso relativi non vengono iscritti nel ‘cassetto fiscale’“.
Sotto il profilo probatorio, l’Adunanza plenaria, ribadito il potere del giudice amministrativo di accertare l’idoneità e la completezza delle certificazioni rilasciate dalle competenti amministrazioni in ordine al possesso dei requisiti di partecipazione, riteneva debitamente comprovata da parte della ricorrente la sussistenza della causa di esclusione sulla base della documentazione dalla stessa versata in atti.

Nella specie, ai fini della prova della sussistenza dell’invocata causa di esclusione, la ricorrente aveva depositato in primo grado una dichiarazione resa dall’aggiudicataria in altra procedura selettiva da cui emergeva inequivocabilmente la sussistenza del debito fiscale e, in grado di appello (con produzione documentale ritenuta ammissibile) la certificazione rilasciata, a seguito di istanza di accesso agli atti, dalla Segreteria della Sezione del Consiglio di Stato, attestante l’esistenza del debito tributario in questione.

4. Brevi considerazioni conclusive

L’Adunanza plenaria ha fornito importanti precisazioni circa la capacità attestativa della certificazione rilasciata dall’Agenzia delle Entrate e del documento acquisito dall’Amministrazione tramite AVCPASS in sede di verifica dei requisiti di partecipazione.
Nello specifico, è stato chiarito che il contributo unificato non rientra tra le imposte amministrate dall’Agenzia delle Entrate, per cui i debiti ad esso relativi non vengono iscritti nel cassetto fiscale se non a seguito dell’emissione del ruolo per la procedura esattoriale, con l’ulteriore precisazione che tale iscrizione non ha alcuna influenza sulla regolarità fiscale dell’operatore economico risultando la stessa già insussistente nel momento in cui la pendenza tributaria diviene inoppugnabile.

Analoghe considerazioni vanno rivolte al documento acquisito tramite il sistema AVCPASS.
Tale documento non reca infatti alcuna indicazione in ordine a eventuali debiti derivanti dal mancato o ritardato pagamento del contributo unificato e delle relative sanzioni, come si ricava dalla delibera 20 dicembre 2012, n. 111 istitutiva di tale sistema, il cui art. 5 non individua tra gli enti certificanti tenuti a mettere a disposizione la documentazione e i dati in proprio possesso relativi ai requisiti di carattere generale per la partecipazione alle gare, il Segretariato Generale della Giustizia Amministrativa.

Michele Di Michele