La funzione ordinante e nomofilattica del principio del risultato alla luce delle prime applicazioni giurisprudenziali

A cura di Chiara Pagliaroli

23 Gennaio 2024
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L’art. 1 del d.lgs. n. 36/2023 (c.d. nuovo Codice dei contratti pubblici) ha codificato il principio del risultato, precisando che il risultato da raggiungere consiste nell’affidamento e nell’esecuzione dei contratti d’appalto e di concessione con la massima tempestività e con il miglior rapporto possibile tra qualità e prezzo, nel rispetto dei principi di legalità, trasparenza e concorrenza.

Tale principio – già stato definito, da alcuni, in termini di “super principio” e, da altri, come “vera stella polare dell’intero corpus normativo” – costituisce criterio prioritario per l’esercizio del potere discrezionale e per l’individuazione della regola del caso concreto.

L’art. 4 del nuovo Codice stabilisce, poi, che “Le disposizioni del codice si interpretano e si applicano in base ai principi di cui agli artt. 1, 2 e 3”; per questo motivo è parso interessante osservare come l’interpretazione del principio del risultato stia “influendo” sulla definizione delle controversie pendenti, ivi incluse quelle soggette alla disciplina contenuta nel previgente Codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 50/2016).

Così, nella pronuncia n. 4014 del 20 aprile 2023, la IV Sezione del Consiglio di Stato – nel vagliare la legittimità o meno di un decreto regionale di revoca dei contributi concessi a un’Amministrazione comunale per i lavori di realizzazione di un impianto geotermico – ha precisato che dal principio di proporzionalità (inteso come garanzia di un ragionevole equilibrio tra i mezzi utilizzati e i fini perseguiti) deriva «il corollario della c.d. “strumentalità delle forme” a un interesse sostanziale dell’Amministrazione (…), che di recente è stato codificato, mediante l’icastica formula del principio del risultato» dall’art. 1 del nuovo Codice dei contratti pubblici.

Il concetto della strumentalità delle forme è stato poi ripreso, sempre dal Consiglio di Stato, Sezione Terza, nella sentenza n. 9812 del 15 novembre 2023.

Nel caso di specie, relativo all’impugnazione di un provvedimento di aggiudicazione, il Supremo Consesso Amministrativo ha chiarito che il principio del risultato rappresenta il «criterio di soluzione del contrasto» tra il dato formale, rappresentato dal pedissequo rispetto delle prescrizioni contenute nella lex specialis di gara e il dato sostanziale dell’idoneità dei prodotti offerti (guanti chirurgici).

In particolare, poiché tale principio chiarisce che la procedura e la forma sono un mezzo e non il fine della disciplina, la sua applicazione fa sì che le esigenze connesse con la tutela della concorrenza e del mercato recedano quando non vengono in rilievo profili che presentano una diretta attinenza con la partecipazione e con l’ammissione dei concorrenti alla procedura di selezione, bensì aspetti che attengono esclusivamente all’attribuzione di punteggi premiali, legati, per l’appunto, alla qualità dei prodotti offerti.

Ne deriva che: i) quando si discute non già della presenza, all’interno del prodotto offerto, di una determinata caratteristica tecnica, ma solo dell’erronea modalità con cui si è giunti a comprovare la medesima (ad esempio, mediante autodichiarazione del legale rappresentante in luogo della produzione di apposita certificazione), la questione attiene «alla fisiologica contesa tra privati per l’acquisizione della fornitura», ma non incide in alcun modo sul conseguimento del risultato utile per la collettività e per l’Amministrazione in termini di massima tempestività e di miglior rapporto possibile tra qualità e prezzo del bene acquistato; ii) in tali ipotesi, il risultato «formalisticamente corretto» (consistente nell’attribuzione di un punteggio pari a zero, a causa della mancata produzione della certificazione richiesta dal Disciplinare di gara), in quanto espressione di una puntuale applicazione di tutte le regole procedurali, non si identifica con il risultato sostanzialmente giusto, ossia con quello che «correttamente riconosce e premia il prodotto oggettivamente migliore»; iii) in presenza di queste fattispecie occorre preferire una lettura non formalistica degli atti e delle regole della procedura di gara, che attribuisca rilievo prioritario alla correttezza sostanziale del modo di procedere seguito dalla stazione appaltante.

Resta comunque inteso – precisa il Collegio – che ciò non significa che la tutela della concorrenza e del mercato possano essere trascurate o non debbano essere adeguatamente perseguite, dal momento che «il “formalismo” delle procedure di gara si impone e prevale ogni qual volta sia in discussione la partecipazione delle imprese del settore ad armi pari».

Ha sottolineato l’importanza di propendere per una «direttiva antiformalista» anche il T.A.R. Lazio Roma, Sez. II, nella pronuncia n. 18735 resa in data 11 dicembre 2023.

Nel caso in esame, la stazione appaltante si era rifiutata di attivare il soccorso procedimentale, pur a fronte della presentazione, ad opera dell’operatore economico, di un’istanza di autotutela in cui aveva segnalato di aver correttamente dichiarato, nella relazione tecnica allegata alla propria offerta qualitativa, di essere in possesso di una certificazione ISO in corso di validità (peraltro, già inserita all’interno della busta amministrativa), ma di aver erroneamente prodotto, a corredo dell’offerta tecnica, la precedente certificazione scaduta.

In questo caso, la decisione dell’Amministrazione è stata censurata dai giudici di prime cure, proprio perché ritenuta contrastante con il principio del risultato, che risulta innervare l’intera disciplina dei contratti pubblici.

Presenta un indiscusso interesse anche la sentenza del T.A.R. Sicilia Catania, Sez. III, 12 dicembre 2023, n. 3738.

Nella pronuncia in esame – relativa a una procedura disciplinata dal d.lgs. n. 36/2023 in cui la stazione appaltante aveva respinto una richiesta di sopralluogo, presentata con ampio ritardo rispetto ai termini stabiliti nella lex specialis di gara, precludendo, nei fatti, all’aspirante concorrente di presentare la propria offerta – si è attribuito rilievo al principio del risultato per sottolineare che «il miglior risultato possibile, che sia anche il più “virtuoso”, viene raggiunto anche selezionando operatori che dimostrino, fin dalle prime fasi della gara, diligenza e professionalità, quali “sintomi” di un’affidabilità che su di essi dovrà essere riposta al momento in cui, una volta aggiudicatari, eseguiranno il servizio oggetto di affidamento».

Le conclusioni raggiunte sul punto nella sentenza de qua contrastano con quanto affermato dal T.A.R. Lazio Roma, Sez. II-bis, nella sentenza n. 140 del 3 gennaio 2024, proprio con riferimento alla tematica del sopralluogo.

I giudici capitolini, difatti, nell’annullare un provvedimento di esclusione fondato, tra gli altri, sul mancato espletamento del sopralluogo, hanno affermato che nessuna disposizione del d.lgs. n. 36/2023 configura il sopralluogo quale adempimento necessario per la formulazione dell’offerta e che tale necessità non può essere ricavata dall’art. 92, comma 1.

Tale disposizione «non può essere interpretata nel senso di consentire alla stazione appaltante di prevedere il sopralluogo a pena di esclusione dalla gara ma va intesa semplicemente come precetto indirizzato esclusivamente all’amministrazione al fine di vincolarla a parametrare i termini di partecipazione alla gara agli adempimenti propedeutici alla formulazione dell’offerta».

Secondo i giudici di prime cure, quest’opzione ermeneutica risulta coerente, oltre che con il principio dell’accesso al mercato disciplinato dall’art. 3 del nuovo Codice dei contratti pubblici, anche con gli orientamenti del giudice d’appello formatisi sul testo del previgente art. 79, comma 2, del d.lgs. n. 50/2016. Ne discende – quale diretta conseguenza – la nullità della clausola contenuta nel Disciplinare di gara, per violazione del principio di tassatività delle cause di esclusione di cui all’art. 10 del d.lgs. n. 36/2023.

L’iter argomentativo, per come “costruito”, non persuade.

È vero che la sentenza non risolve la questione, facendo applicazione del principio del risultato ed è vero che le circostanze di fatto che sono alla base delle due pronunce sono profondamente diverse (nella vicenda definita dal T.A.R. Sicilia il sopralluogo non era stato effettuato, mentre nel caso deciso dal T.A.R. Lazio il sopralluogo era stato svolto, anche se con modalità diverse da quelle «assistite» prescritte dalla stazione appaltante, circostanza quest’ultima ritenuta dal T.A.R. «meritevole di adeguata considerazione»), ma cionondimeno: i) l’art. 92, comma 2, introduce un concetto – quale quello dell’indispensabilità (ndr. «ove indispensabile alla formulazione dell’offerta») – che non era presente nel testo dell’art. 79, comma 2; ii) lo stesso Bando Tipo Anac n. 1/2023 – cui le stazioni appaltanti sono tenute a uniformarsi nella predisposizione della documentazione di gara, salvo motivare espressamente in ordine alle eventuali deroghe (cfr. art. 83, comma 3, del d.lgs. n. 36/2023) – pur riconoscendo il carattere facoltativo del sopralluogo, stabilisce che, quando esso assume carattere obbligatorio, la mancata effettuazione «è causa di esclusione dalla procedura di gara» (cfr. punto 11); iii) negare sic et simpliciter che il sopralluogo possa assumere, nel singolo caso concreto, valenza sostanziale ai fini di una migliore formulazione dell’offerta equivale, nei fatti, a «mortificare» quell’iniziativa e quell’autonomia decisionale dei funzionari pubblici che il principio della fiducia favorisce e valorizza, specie con riferimento «alle valutazioni e alle scelte per l’acquisizione e l’esecuzione delle prestazioni secondo il principio del risultato» (cfr. art. 2, comma 2).

Sotto altro profilo, si è soffermata sulla nozione di risultato come nozione che «non ha riguardo unicamente alla rapidità e all’economicità, ma anche alla qualità della prestazione», da intendersi in termini di sostanziale corrispondenza tra quanto offerto e quanto domandato, la III Sezione del Consiglio di Stato con la pronuncia n. 11322 del 29 dicembre 2023.

Anche questa decisione presenta diversi profili di indubbio interesse, a cominciare dalla lettura del principio di concorrenza quale principio che presuppone (anche) la capacità dell’impresa di stare sul mercato, offrendo prodotti in grado di soddisfare una domanda pubblica qualificata.

Nello specifico, in un contesto – come quello attuale – nel quale il contratto d’appalto ha assunto sempre più i contorni di uno «strumento a plurimo impiego», funzionale all’attuazione di politiche industriali, economiche, ambientali, sociali ed etiche, «la migliore offerta» è certamente sì quella che presenta le migliori condizioni economiche, ma solo a parità di requisiti qualitativi richiesti.

In quest’ottica, il raggiungimento del risultato (nel caso di specie, gestione a ridotto impatto ambientale del servizio di ristorazione scolastica) implica «verifiche sostanziali e non formali, di effettività del raggiungimento degli obiettivi (di merito e di metodo), oltre che di astratta conformità al paradigma normativo».

La mancanza della certificazione EMAS, richiesta quale requisito di partecipazione alla gara, esclude, dunque, nel caso de quo non solo che l’offerta possa rappresentare un risultato conforme alla tutela degli interessi sottesi alla commessa pubblica, ma anche che la medesima possa essere considerata la «migliore offerta» in un’ottica di risultato.

Chiude, infine, la rassegna la sentenza del T.A.R. Campania Napoli, Sez. I, 15 gennaio 2024, n. 377, che si sofferma sull’impiego del principio del risultato quale «criterio interpretativo per i casi (…) in cui debba essere risolto il dubbio sulla sorte della legge di gara, che non può dirsi assolutamente mancante di prescrizioni inderogabili», nella specie riferite ai criteri ambientali minimi.

Secondo il Collegio, allorquando la lex specialis di gara contenga un puntuale riferimento ai decreti ministeriali di riferimento, insieme ad alcune specificazioni riferite ad una o più prestazioni, il principio del risultato può essere declinato in termini che pongano l’accento sull’esigenza di privilegiare l’effettivo e tempestivo conseguimento degli obiettivi dell’azione pubblica grazie alla valorizzazione di tutti i fattori sostanziali dell’azione amministrativa, escludendo che la procedura di gara possa venire vanificata in tutti i casi in cui non sussistano ragioni obiettive che ostano al suo espletamento. Sono così destinati a recedere – di fronte al prioritario interesse al pronto raggiungimento delle finalità dell’appalto – «quei formalismi ai quali non corrisponda una concreta ed effettiva esigenza di tutela del privato».

L’analisi che precede ci restituisce – ad oggi – la fotografia di una chiara contrapposizione tra i concetti di “sostanza” e “forma”, in tutte le loro declinazioni. Al tempo stesso, è evidente che l’attività dell’interprete si sta orientando sempre più verso un approccio sostanzialistico. Ciononostante, sarà interessante monitorare la successiva evoluzione giurisprudenziale, anche per verificare come verranno risolte alcune criticità (si pensi, ad esempio, al mancato richiamo al principio di imparzialità) già segnalate dai primi commentatori.

Chiara Pagliaroli