Limiti e condizioni di rilevanza delle risoluzioni contrattuali

Le pregresse risoluzioni contrattuali vanno dichiarate in sede di gara (anche se oggetto di transazione), ad eccezione di quelle ampiamente datate o, comunque, ormai insignificanti per la vita professionale dell’impresa

irene picardi 16 Marzo 2020
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Le pregresse risoluzioni contrattuali vanno dichiarate in sede di gara (anche se oggetto di transazione), ad eccezione di quelle ampiamente datate o, comunque, ormai insignificanti per la vita professionale dell’impresa

Consiglio di Stato, sez. V, 5 marzo 2020, n. 1605

Una recente sentenza del Consiglio di Stato consente di tornare sull’individuazione dei limiti di operatività dell’art. 80, comma 5, lett. c) del Codice dei Contratti Pubblici, oggetto di modifiche legislative e ampi dibattiti giurisprudenziali, e purtuttavia ancora in attesa di un’interpretazione (e applicazione) certa e condivisa da parte degli addetti ai lavori.

L’oggetto della controversia e la decisione di primo grado

In primo grado, la controversia aveva riguardato la reciproca impugnazione da parte di due imprese partecipanti ad una procedura ad evidenza pubblica delle rispettive ammissioni in gara, per avere le stesse omesso di dichiarare precedenti risoluzioni contrattuali. In particolare, il ricorso principale della seconda classificata faceva riferimento ad una risoluzione subita dall’impresa aggiudicataria nel 2012 e quello incidentale, proposto da quest’ultima avverso l’ammissione in gara della ricorrente principale, a due risoluzioni del 2015, oggetto di successivo accordo transattivo.

Ricavando dall’art. 80, comma 5, lett. c) l’obbligo in capo agli operatori economici di dichiarare indistintamente in gara ogni pregressa vicenda concernente fatti risolutivi, errori o altre negligenze professionali rilevanti ai fini della formazione del giudizio di integrità e di affidabilità rimesso alla stazione appaltante, i giudici di primo grado hanno accolto entrambi i ricorsi disponendo a carico della stazione appaltante la verifica della sussistenza dei presupposti per rinnovare l’intera procedura.

In sede di appello, proposto da entrambe le imprese avverso il capo di sentenza in cui erano risultate soccombenti, i giudici del Consiglio di Stato hanno fornito utili precisazioni, riformando in parte la sentenza impugnata.

L’ipotesi della risoluzione contrattuale composta mediante transazione

Con riferimento alle risoluzioni contestate dall’originario ricorrente principale, i giudici di appello hanno confermato la sentenza di primo grado, specificando però in motivazione che le risoluzioni contrattuali disposte dalle stazioni appaltanti, benché oggetto di atto transattivo, devono essere comunque dichiarate dall’operatore economico in sede di partecipazione alla gara, potendo integrare il presupposto del grave errore nell’esecuzione della prestazione.

Se è vero, infatti, che la transazione stipulata a seguito di risoluzione contrattuale disposta per grave inadempimento impedisce l’accertamento giudiziale circa la legittimità o meno della risoluzione medesima, essa determina al contempo il consolidamento del fatto storico costituito dalla risoluzione per inadempimento disposta dalla stazione appaltante, che richiede si sensi dell’art. 1455 c.c. l’importanza e quindi la gravità dell’inadempimento.

Tale circostanza, potendo dunque rilevare potenzialmente come grave illecito professionale, non può essere omessa dal concorrente sulla base di una propria valutazione di non gravità della vicenda; né l’obbligo dichiarativo è destinato a venir meno nel caso in cui l’opera pubblica appaltata venga poi effettivamente eseguita, essendosi ormai consolidato il grave inadempimento professionale.

La rilevanza temporale dei gravi illeciti professionali

Ulteriori precisazioni sono state formulate anche con riferimento alla rilevanza temporale degli illeciti professionali addebitabili agli operatori economici ai fini dichiarativi e dell’eventuale estromissione dalla gara.

I giudici del Consiglio di Stato hanno colto l’occasione per ripercorrere brevemente la disciplina di cui all’art. 80, comma 5, lett. c) contenuta nel d.lgs. 50 del 2016 e successivamente modificata, così come interpretata dalla giurisprudenza nazionale.

In base alla versione della disposizione applicabile ratione temporis alla vicenda sottoposta al loro esame, e quindi quella anteriore alle modifiche apportate dall’art. 5, comma 1 d.l. 14 dicembre 2018, n. 135 (d.l. “semplificazioni”, con commento su questo sito di D. Capotorto – I. Picardi, Come cambia la moralità professionale nel decreto legge “semplificazioni”) convertito dalla l. 11 febbraio 2019, n. 12 essendo stata la gara bandita precedentemente alla sua entrata in vigore, si prevedeva che le stazioni appaltanti escludessero dalla partecipazione alla procedura d’appalto gli operatori economici rispetto ai quali si fosse dimostrato, con mezzi adeguati, che i medesimi si erano resi colpevoli di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità.

Tra questi, l’art. 80, comma 5, lett. c) ante d.l. “semplificazioni” ricomprendeva espressamente “le significative carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione ovvero hanno dato luogo ad una condanna al risarcimento del danno o ad altre sanzioni”; “il tentativo di influenzare indebitamente il processo decisionale della stazione appaltante o di ottenere informazioni riservate ai fini del proprio vantaggio”; “il fornire, anche per negligenza, informazioni false o fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione ovvero l’omettere le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione”.

Sotto la vigenza di tale disposizione, la giurisprudenza ha ritenuto che l’elencazione delle condotte da qualificarsi ex lege quali gravi illeciti professionali fosse meramente esemplificativa, potendo la stazione appaltante attribuire rilevanza anche da altre vicende pregresse dell’attività professionale dell’impresa, ove idonee a metterne in dubbio l’integrità e l’affidabilità (in argomento, cfr. A. D’Agostino, Sulla natura dei gravi illeciti professionali indicati dall’art. 80, comma 5, lett. c) del nuovo codice: elenco tassativo o esemplificativo?).

Tale conclusione sarebbe rimasta valida anche dopo la modifica dell’art. 80, comma 5 ad opera del d.l. 135 del 2018, che ha previsto la scomposizione della causa di esclusione di cui alla lett. c) in tre distinte fattispecie inserite, rispettivamente, alle lett. c), c-bis), c-ter), essendo stata mantenuta alla lett. c) la previsione di portata generale già ricompresa nella precedente formulazione della norma.

Proseguendo nell’analisi, il Consiglio di Stato ha poi specificato che in relazione agli obblighi informativi posti a carico degli operatori economici, la giurisprudenza (sebbene in maniera non univoca) ha attribuito all’ultimo inciso dell’art. 80, comma 5, lett. c) ante riforma il significato di norma di chiusura, in base al quale le imprese sarebbero tenute a portare a conoscenza dell’amministrazione aggiudicatrice tutte le informazioni relative alle proprie vicende professionali, anche non costituenti cause tipizzate di esclusione.

Nel tentativo di stemperare la rigidità di tale onere dichiarativo, evitando di imporre agli operatori economici l’obbligo di ripercorrere a beneficio dell’amministrazione aggiudicatrice tutte le proprie vicende professionali anche se ampiamente datate o irrilevanti per la vita dell’impresa, le linee guida dell’Anac e parte della giurisprudenza amministrativa hanno fissato in tre anni – da computarsi a ritroso dalla data del bando e tenendo conto della data di adozione della determinazione amministrativa di risoluzione unilaterale – la rilevanza temporale dell’illecito professionale; cioè, sono state ritenute inidonee ai fini dell’esclusione dalle gare pubbliche le risoluzioni contrattuali ante triennio.

Il fondamento di tale limitazione è stato individuato nella Direttiva 2014/24/UE, nella parte in cui prevede la fissazione da parte degli Stati membri dell’Unione di un periodo massimo di esclusione (art. 57, par. 7), ritenuta direttamente applicabile anche nell’ordinamento interno, sebbene non completamente recepita dalla normativa nazionale. Infatti, l’art. 80, comma 10 relativo alla durata delle cause di esclusione, pur facendo riferimento ad una limitazione triennale, attiene alla diversa rilevanza della pena accessoria dell’incapacità di contrarre con la Pubblica Amministrazione (e che ben si giustifica con la natura necessariamente temporanea della sanzione), ma non al potere della stazione appaltante di escludere l’operatore economico ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. c).

Proprio l’omissione di una espressa previsione sulla rilevanza temporale dei gravi illeciti professionali è stata valorizzata da altra parte della giurisprudenza amministrativa per affermare, invece, l’obbligo dichiarativo da parte degli operatori economici anche di risoluzioni contrattuali intervenute prima del triennio antecedente alla gara.

Così ricostruita la disciplina di riferimento, aderendo al primo degli orientamenti sopra esaminati, i giudici del Consiglio di Stato hanno escluso che nei confronti dell’impresa fosse addebitale una omissione dichiarativa avente ad oggetto una risoluzione contrattuale del 2012 “trovando applicazione il limite di operatività posto dall’art. 57, par. 7 della direttiva 2014/24/UE, con conseguente impossibilità di rilevare nei confronti della società l’inadempimento a un obbligo che […] laddove diversamente inteso, per un verso sarebbe eccessivamente oneroso per l’operatore economico, per altro verso non apporterebbe significativi elementi di conoscenza alla stazione appaltante, trattandosi di vicende professionali ampiamente datate o, comunque, ormai del tutto insignificanti”.

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