Dalla Corte di Giustizia stop a restrizioni che limitano “in modo generale e astratto” il ricorso al subappalto

In materia di subappalto, la direttiva 2014/24/UE deve essere interpretata nel senso che osta ad una normativa nazionale, come quella italiana, che limita al 30% la quota dell’importo contrattuale che l’offerente è autorizzato ad affidare a terzi

7 Ottobre 2019
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In materia di subappalto, la direttiva 2014/24/UE deve essere interpretata nel senso che osta ad una normativa nazionale, come quella italiana, che limita al 30% la quota dell’importo contrattuale che l’offerente è autorizzato ad affidare a terzi

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CGUE, sez. V, 26 settembre 2019, causa C-63/18

Dopo la Commissione europea [1], anche la Corte di Giustizia ha ritenuto non compatibile con il diritto europeo degli appalti pubblici la normativa italiana – di recente modificata dalla l. n. 55 del 2019 di conversione del d.l. “sblocca cantieri – che limita al 30% la parte dell’appalto che l’offerente è autorizzato a subappaltare a terzi.

La questione pregiudiziale era stata sollevata dal T.a.r. Lombardia (con ordinanza n. 148 del 19 gennaio 2019 [2]), nell’ambito di una controversia riguardante l’esclusione di un’impresa da una gara indetta da Autostrade per l’Italia per i lavori di ampliamento dell’A8, a causa del superamento del limite del 30% previsto in materia di subappalto dall’art. 105, comma 2 d.lgs. 50 del 2016.

Dubitando della conformità di tale limitazione quantitativa al diritto dell’Unione, i giudici lombardi hanno sospeso il giudizio e chiesto a Bruxelles “se i principi di libertà di stabilimento e di libera prestazione di servizi, di cui agli articoli 49 e 56 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), l’articolo 71 della direttiva 2014/24del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014, il quale non contempla limitazioni quantitative al subappalto, e il principio eurounitario di proporzionalità, ostino all’applicazione di una normativa nazionale in materia di appalti pubblici, quale quella italiana contenuta nell’articolo 105, comma 2, terzo periodo, del decreto legislativo18 aprile 2016, n. 50, secondo la quale il subappalto non può superare la quota del 30 per cento dell’importo complessivo del contratto di lavori, servizi o forniture”.

Nell’esaminare la questione, la Corte di Giustizia ha richiamato le regole europee in materia di subaffidamenti che, al fine di garantire la più ampia partecipazione possibile alle gare pubbliche e favorire l’accesso al mercato delle piccole e medie imprese, consentono agli offerenti di fare affidamento – a determinate condizioni – sulle capacità di altri soggetti, per soddisfare i requisiti richiesti dal bando. In tale ottica, sarebbe dunque da escludere la legittimità di una normativa come quella italiana che limita il ricorso al subaffidamento per una parte del contratto fissata in maniera generale e astratta in una determinata percentuale, prescindendo dalle reali capacità dei subappaltatori e dal carattere essenziale o meno delle prestazioni.

Tali restrizioni non potrebbero trovare adeguata giustificazione neppure nell’esigenza di contrastare il fenomeno dell’infiltrazione della criminalità organizzata nelle commesse pubbliche. Il Governo italiano cerca, infatti, di motivare la disciplina contenuta nel codice dei contratti pubblici “alla luce delle particolari circostanze presenti in Italia, dove il subappalto ha da sempre costituito uno degli strumenti di attuazione di intenti criminosi”, ma secondo i giudici europei “anche supponendo che una restrizione quantitativa al ricorso al subappalto possa essere considerata idonea a contrastare siffatto fenomeno, una restrizione come quella di cui trattasi nel procedimento principale eccede quanto necessario al raggiungimento di tale obiettivo” in quanto non residua alcuno spazio per una valutazione caso per caso da parte dell’ente aggiudicatore.

Secondo la Corte, misure meno restrittive della concorrenza – quali, ad esempio, la possibilità per la stazione appaltante di chiedere all’offerente di informarla sulle intenzioni in materia di subappalto ovvero di verificare la sussistenza di motivi di esclusione in capo ai subappaltatori relativi in particolare alla partecipazione a organizzazioni criminali, alla corruzione o alla frode – sarebbero idonee a raggiungere l’obiettivo di tutela dell’ordine pubblico perseguito dal legislatore italiano. Peraltro, il diritto nazionale “già prevede numerose attività interdittive espressamente finalizzate ad impedire l’accesso alle gare pubbliche alle imprese sospettate di condizionamento mafioso o comunque collegate a interessi riconducibili alle principali organizzazioni criminali operanti nel paese”. Sotto tale profilo, l’illegittimità delle limitazioni al ricorso al subappalto non può essere rimessa in discussione neppure dall’argomento dedotto dal governo italiano, secondo il quale i controlli di verifica che l’amministrazione aggiudicatrice è chiamata ad effettuare sarebbero inefficaci: siffatta circostanza “nulla toglie al carattere restrittivo della misura nazionale”.

Ebbene, non si sottrae a tali rilievi neanche la nuova normativa nazionale in materia di subappalto di recente introdotta dalla l. n. 55 del 2019 – che ha convertito il d.l. “sblocca cantieri” – in quanto si prevede che fino al 31 dicembre 2020 “in deroga all’articolo 105, comma 2…il subappalto è indicato dalle stazioni appaltanti nel bando di gara e non può superare la quota del 40 per cento dell’importo complessivo del contratto di lavori, servizi o forniture”. Se il problema sta infatti nell’individuazione generale e astratta di un tetto massimo dell’appalto che può essere affidato a terzi, l’innalzamento di tale soglia non rende in ogni caso la disciplina nazionale conforme a quella europea. Eppure, tale intervento legislativo voleva dare (parziale) risposta proprio alle osservazioni contenute nella lettera di costituzione in mora inviata a gennaio 2019 dalla Commissione europea alle Autorità Italiane, con la quale era stata contestata la disciplina sul subappalto contenuta nel d.lgs. 50 del 2016 sotto vari profili, fra cui quello relativo al limite obbligatorio del 30%. A questo punto, l’esito della procedura di infrazione sembra ormai quasi annunciato, a meno che il legislatore nazionale non decida di intervenire con un nuovo correttivo che consenta di allineare la normativa interna a quella dell’Unione.

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[1] In argomento, cfr. I. Picardi, Arriverà dall’Europa la spinta decisiva per cambiare il Codice? pubblicato su questo sito in dato 20 febbraio 2019.

[2] Per un commento dettagliato dell’ordinanza di rimessione, cfr. A. Iannotti delle Valle, I limiti del subappalto alla Corte di Giustizia: l’ordinanza illustra le motivazioni, pubblicato su questo sito in data 31 gennaio 2019. L’ordinanza era stata preceduta da una sentenza non definitiva con la quale il T.a.r. Lombardia aveva preannunciato il rinvio della questione alla Corte di Giustizia. Cfr. I. Picardi, Subappalto ancora nel mirino europeo, pubblicato su questo sito in data 9 gennaio 2018.