Rilevanza escludente degli illeciti penali ancora in corso di accertamento e relativi obblighi dichiarativi

E’ legittima la revoca dell’aggiudicazione basata su un grave illecito professionale, connesso ad una condotta legata all’esercizio dell’attività professionale e contraria ad un obbligo giuridico presidiato da una norma penale, anche se oggetto di una mera richiesta di rinvio a giudizio

28 Giugno 2021
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E’ legittima la revoca dell’aggiudicazione basata su un grave illecito professionale, connesso ad una condotta legata all’esercizio dell’attività professionale e contraria ad un obbligo giuridico presidiato da una norma penale, anche se oggetto di una mera richiesta di rinvio a giudizio

A cura di Dario Capotorto e Irene Picardi

1. Premessa

Con la sentenza in commento, il Consiglio di Stato (sez. V, 19 aprile 2021, n. 3165) è tornato sul tema della portata applicativa della fattispecie escludente del «grave illecito professionale», di cui all’art. 80, comma 5, lett. c), d.lgs. n. 50/2016, e di quella della «falsità o omissione dichiarativa», di cui alla successiva lett. c-bis) della medesima disposizione, fornendo interessanti precisazioni sulla rilevanza, ai fini della partecipazione alle procedure ad evidenza pubblica, di fatti di rilievo penale, non ancora accertati in modo definitivo in sede giurisdizionale (sul tema, cfr. D. Capotorto, Il sindacato giurisdizionale sulle valutazioni amministrative in tema di integrità morale degli operatori economici per illeciti in corso di accertamento: la tripartizione dei poteri in “corto circuito” tra discrezionalità amministrativa, discrezionalità tecnica e discrezionalità giudiziale, in corso di pubblicazione in Dir. proc. amm.)

In particolare, la controversia all’origine della sentenza traeva origine da una gara indetta da Invitalia s.p.a., in qualità di centrale di committenza del Ministero della Cultura (già, Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo), per l’affidamento dei servizi di progettazione relativi alla realizzazione di un centro servizi nei pressi del Parco Archeologico del Colosseo, in esito alla quale la commessa veniva aggiudicata al raggruppamento temporaneo di imprese collocatosi al primo posto della graduatoria.

A seguito del rinvio a giudizio disposto nei confronti del legale rappresentante e direttore tecnico dell’operatore economico aggiudicatario, per il reato di cui all’art. 319-quater c.p. (induzione indebita a dare o promettere utilità), realizzato nell’ambito di una vicenda collegata alla localizzazione del nuovo stadio calcistico dell’A.S. Roma a Tor di Valle, la stazione appaltante revocava l’aggiudicazione, sul presupposto che, sebbene il provvedimento di rinvio fosse stato notificato successivamente all’aggiudicazione, la relativa richiesta era stata formulata nelle more della procedura di appalto, e pur tuttavia il soggetto destinatario aveva omesso di dichiararla in sede di gara, incorrendo così nelle fattispecie escludenti di cui all’art. 80, comma 5, lett. c) e c-bis) sopra richiamate.

In particolare, l’amministrazione rilevava che «le informazioni omesse concernono un illecito professionale grave e che seppure la condotta di cui trattasi non sia stata ancora sanzionata con sentenza definitiva, si ritiene opportuno mettere al riparo l’interesse pubblico dal pericolo manifestato dalla tipologia del reato di cui all’art. 319-quater, co. 1 c.p.»; la ragione della revoca era, dunque, da ravvisare «nella emersione di un interesse pubblico concreto derivante dalla conoscenza di informazioni tali da ritenere che la loro omissione abbia condizionato indebitamente il processo decisionale della stazione appaltante».

Inoltre, all’art. 12 dello schema di contratto allegato alla procedura, la stazione appaltante si impegnava «ad avvalersi della clausola risolutiva espressa, ogni qual volta nei confronti dell’Appaltatore o dei componenti della compagine sociale sia stata disposta misura cautelare o sia intervenuto rinvio a giudizio per taluno dei delitti di cui agli artt. 317, 318 319-bis-ter-quater, 320, 322, 322-bis, 346-bis c.p.».

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2. Il giudizio di primo grado

Contestato il suddetto provvedimento di revoca in sede giurisdizionale, nel primo grado del giudizio il T.a.r. per il Lazio, sede di Roma (sez. III-ter, 2 luglio 2020, n. 7587) accoglieva il ricorso proposto dall’originario aggiudicatario, aderendo ad una lettura sostanzialmente restrittiva delle disposizioni sopra citate.

Ad avviso dei giudici del T.a.r. di Roma, il provvedimento di revoca adottato dall’amministrazione sarebbe stato, in particolare, da reputare illegittimo sotto un duplice profilo.

In primo luogo, poiché al momento dell’aggiudicazione, al legale rappresentante della mandataria, era stata notificata la sola richiesta di rinvio a giudizio, e non anche tale ultimo provvedimento, successivo alla conclusione della procedura di gara. Da ciò sarebbe discesa quale conseguenza che «la valutazione dell’amministrazione sulla gravità dell’illecito professionale e della relativa violazione dell’obbligo di comunicazione “a gara ancora in corso” […] è inevitabilmente inficiata da una erronea rappresentazione di fatto».

In secondo luogo, il suddetto provvedimento sarebbe stato da ritenere carente anche sul piano motivazionale, non avendo la stazione appaltante dato atto della riconducibilità dei fatti di rilievo penale contestati all’aggiudicatario ad un’ipotesi di grave violazione professionale, idonea a compromettere l’affidabilità del raggruppamento aggiudicatario.

3. La sentenza del Consiglio di Stato

In sede di appello, il Consiglio di Stato ha invece considerato legittima la decisione di revocare l’aggiudicazione sotto entrambi i profili sopra rappresentati.

A livello procedurale, i giudici amministrativi di secondo grado escludono che l’amministrazione, mediante la revoca dell’aggiudicazione, avesse dato luogo ad un automatismo espulsivo – sia con riferimento alla rilevanza escludente della condotta dichiarativa sia con riferimento agli episodi di rilievo penale sottostanti – avendo la stessa «dato evidenza del (la richiesta di) rinvio a giudizio per il reato di cui all’art. 319-quater Cod. pen. (induzione indebita a dare o promettere utilità), fattispecie peraltro preclusiva, secondo l’argomento dell’inclusione (secondo cui il più comprende il meno), della stipulazione contrattuale, in coerenza con la clausola del modello di contratto che ne prevede espressamente la risoluzione nel caso di rinvio a giudizio (anche) per tale titolo di reato».

Ai fini dell’adempimento degli obblighi valutativi e motivazionali, precisa poi il Consiglio di Stato, non è neanche richiesto che il giudizio dell’amministrazione implichi un contraddittorio con l’operatore economico interessato, che rappresenterebbe viceversa «un inutile aggravio procedimentale, se riguardata in funzione di un’attività di giudizio sull’affidabilità professionale del concorrente, che, di per sé, non necessariamente richiede un’attività istruttoria, intesa, in senso processuale, come volta all’acquisizione di elementi di prova».

Dal punto di vista sostanziale, il Consiglio di Stato riconduce invece la richiesta di rinvio a giudizio, disposta nel caso di specie, alla fattispecie escludente di cui all’art. 80, comma 5, lett. c), in quanto connessa ad una condotta legata all’esercizio dell’attività professionale e contraria ad un obbligo giuridico presidiato da una norma penale. Più in particolare, l’attenzione dei giudici di secondo grado si è incentrata sull’inerenza del fatto-reato contestato all’operatore economico in sede penale – e riguardante, nello specifico, la omessa apposizione di un vincolo di tutela culturale sull’area di Tor di Valle – con la materia dei beni culturali, rientrante proprio fra le competenze specifiche del committente.

Poste tali premesse, dalla rilevanza ai fini del corretto svolgimento della procedura di affidamento della richiesta di rinvio a giudizio, il Consiglio di Stato fa discendere quale ulteriore conseguenza la sussistenza del relativo onere dichiarativo in capo all’operatore economico che, anche in virtù dei generali obblighi di correttezza e buona fede, avrebbe dovuto dichiarare in gara anche le suddette circostanze, seppur sopravvenute rispetto alla presentazione della domanda di partecipazione alla procedura di affidamento, in quanto idonee ad incidere sulla sua moralità ed affidabilità (come pure sulla sua capacità professionale).

4. Brevi considerazioni conclusive

Le sentenze sopra esaminate toccano, seppur brevemente, alcuni degli aspetti più controversi della disciplina della contrattualistica pubblica, cioè quelli relativi all’individuazione del perimetro applicativo delle fattispecie di cui all’art. 80, comma 5, lett. c) e c-bis), d.lgs. n. 50/2016 (cfr. D. Capotorto, Il sindacato giurisdizionale sulle valutazioni amministrative in tema di integrità morale degli operatori economici per illeciti in corso di accertamento, op. cit.). Nel caso di specie, la complessità della questione è evidenziata anche dalle differenti posizioni assunte dai giudici amministrativi di primo e secondo grado rispetto alle condotte poste in essere dall’operatore economico e dalla stazione appaltante.

In primo luogo, l’ampiezza della formulazione dell’art. 80, comma 5, lett. c), d.lgs. n. 50/2016 pone il problema della corretta individuazione delle fattispecie potenzialmente riconducibili all’ipotesi escludente del «grave illecito professionale». La giurisprudenza amministrativa, qualificando la disposizione in esame in termini di concetto giuridico indeterminato, o di clausola generale, riconosce alla stazione appaltante il potere di valutare ai fini della gara tutti gli episodi riconducibili all’operatore economico, che siano capaci di comprometterne l’integrità e l’affidabilità morale e professionale, ivi compresi fatti illeciti di varia natura (civile, penale o amministrativa, ma anche tributaria, giuslavoristica, etc.) ancora in corso di accertamento nelle competenti sedi giurisdizionali. Da ciò deriva, a livello procedurale, l’obbligo a carico delle imprese di fornire, in attuazione del principio di leale collaborazione, una rappresentazione quanto più dettagliata possibile delle pregresse vicende professionali, potenzialmente rilevanti ai fini del possesso dei requisiti di ordine generale, in modo da consentire alla stazione appaltante di svolgere, con piena cognizione di causa, le valutazioni di sua competenza, pena l’allontanamento dalla procedura per omissioni o falsità dichiarative.

Con particolare riferimento alle fattispecie di rilievo penale, l’approccio interpretativo sopra descritto ha consentito alle stazioni appaltanti di attribuire rilevanza escludente a fatti in relazione ai quali sia stato disposto il rinvio a giudizio o siano state adottate misure cautelari, ovvero ancora di tenere conto di contestazioni che abbiano ad oggetto condotte meramente espressive di un grave illecito professionale, a prescindere dall’applicazione di misure penali. In questo senso, la sentenza del Consiglio di Stato qui in commento si inserisce nel solco già tracciato dalla giurisprudenza amministrativa sopra richiamata, estendendo ulteriormente il campo di applicazione dell’art. 80, comma 5, lett. c), fino al punto di ricomprendervi illeciti per i quali sia stata notificata la sola richiesta di rinvio a giudizio, quindi fatti lontani dal grado di certezza probatoria che il diritto penale richiede ai fini sanzionatori.

Al di là dei dubbi che possono sorgere in merito alla significativa anticipazione della rilevanza penale di tali fatti, in presenza dei quali la stazione appaltante è chiamata sostanzialmente a compiere un giudizio di tipo prognostico, non dissimile da quello effettuato dall’autorità giudiziaria, l’ampiezza del potere di valutazione riconosciuto all’amministrazione pone l’ulteriore problema di definire la portata degli obblighi dichiarativi gravanti sui concorrenti.

L’assenza di una precisa tipizzazione delle ipotesi di esclusione riconducibili al «grave illecito professionale» finisce, infatti, per impedire agli operatori di prevedere, con sufficiente certezza, quali vicende saranno considerate rilevanti ai fini dell’esclusione, risultando conseguentemente assai difficoltoso per gli stessi stabilire quali fatti dichiarare in gara per non essere ritenuti, anche sotto tale profilo, professionalmente e moralmente inaffidabili ex art. 80, comma 5, lett. c), o per non incorrere nell’applicazione della fattispecie della falsità dichiarativa di cui all’art. 80, comma 5, lett. c-bis) (sul tema, cfr.  Cons. Stato, ad. plen., n. 16/2020, con commento su questo sito di D.Capotorto – I. Picardi,  I rapporti fra le ipotesi di falso di cui all’art. 80, comma 5, lettere c-bis) ed f-bis), d.lgs. n. 50 del 2016).

Tali difficoltà interpretative e applicative emergono in maniera evidente nel contenzioso sopra esaminato, nell’ambito del quale i giudici amministrativi di primo e secondo grado hanno assunto posizioni disomogenee in merito alla rilevanza, ai fini della partecipazione alla gara, dei fatti illeciti contestati all’operatore economico e, conseguentemente, alla portata degli obblighi dichiarativi e informativi gravanti sullo stesso, privilegiando, nell’un caso, una lettura maggiormente restrittiva delle disposizioni in esame e optando, nell’altro, per un’interpretazione più estesa.

Infine, ulteriori criticità si pongono in relazione alla clausola risolutiva espressa inserita nello schema di contratto allegato alla procedura, che l’amministrazione si era riservata di attivare «ogni qual volta nei confronti dell’Appaltatore o dei componenti della compagine sociale sia stata disposta misura cautelare o sia intervenuto rinvio a giudizio per taluno dei delitti di cui agli artt. 317, 318 319-bis-ter-quater, 320, 322, 322-bis, 346-bis c.p.». Se una simile previsione può, per un verso, contribuire ad individuare con maggiore certezza le vicende professionali che gli operatori economici devono dichiarare in gara ai fini dell’appalto, per l’altro essa finisce per introdurre un meccanismo di preclusione automatica dell’aggiudicazione, in presenza di fatti potenzialmente riconducibili ad ipotesi di gravi illeciti professionali per i quali anche la normativa di settore richiede – anche a livello europeo – un’apposita valutazione da parte della stazione appaltante. Si tratta delle medesime problematiche interpretative e applicative che si pongono con riferimento all’istituto dei protocolli di legalità, di recente rafforzato dal decreto «semplificazioni» (art. 3 del d.l. n. 76/2020, convertito con modificazioni dalla l. n. 120/2020, con commento su questo sito a cura di D. Capotorto – I. Picardi, I protocolli di legalità nel d.l. 76/2020 (cd. decreto «semplificazioni»): che fine ha fatto il principio di tassatività delle ipotesi di esclusione?), che prescrivendo che «le stazioni appaltanti prevedono negli avvisi, bandi di gara o lettere di invito che il mancato rispetto dei protocolli di legalità costituisce causa di esclusione dalla gara o di risoluzione del contratto» sembra escludere qualsivoglia margine valutativo delle stazioni appaltanti, imponendo l’estromissione dalle gare e l’effetto risolutivo a prescindere dalla gravità delle condotte contestate all’operatore, dall’adozione di misure di self cleaning e dallo stato di esecuzione delle commesse.