Il “cumulo alla rinfusa” nei consorzi stabili: lo “stato dell’arte” di una disciplina in costante mutazione.

Con la sentenza del 22 agosto il Consiglio di Stato assesta un ulteriore colpo alla – già provata – disciplina del cumulo alla rinfusa, che da anni subisce oscillazioni normative e giurisprudenziali che ne modificano “a fisarmonica” l’operatività, ampliandola o restringendola senza (almeno apparentemente) una chiara idea di fondo

20 Settembre 2022
Scarica PDF Stampa
Modifica zoom
100%
Con la sentenza del 22 agosto n.7360, la quinta sezione del Consiglio di Stato assesta un ulteriore colpo alla – già provata – disciplina del cumulo alla rinfusa, che da anni subisce oscillazioni normative e giurisprudenziali che ne modificano “a fisarmonica” l’operatività, ampliandola o restringendola senza (almeno apparentemente) una chiara idea di fondo.

Il risultato è la quasi totale incertezza che regola oggi la materia, contraddistinta da opposti orientamenti, che proviamo di seguito a mettere in fila, auspicando nell’avvento di una chiara riforma normativa dell’istituto.

La pronuncia di primo grado

Il caso oggetto di pronuncia riguarda una procedura di gara, indetta sotto la vigenza del d.lgs. n. 50/2016, per l’assegnazione di un accordo quadro di lavori, che prevedeva come requisito di partecipazione la qualificazione SOA OS10 in classifica V.

Risultava aggiudicatario della gara un consorzio stabile che, per partecipare, aveva speso la SOA di un’impresa consorziata (non esecutrice), dichiarando che i lavori sarebbero stati eseguiti da altra consorziata (quest’ultima priva di qualificazione nella categoria), invocando l’operatività del meccanismo del “cumulo alla rinfusa”, nel senso della non necessità che il singolo consorziato, ancorché indicato come esecutore dell’appalto di essere in possesso, in proprio, dei requisiti di partecipazione, potendo il consorzio utilizzare “come propri” i requisiti di tutti i suoi consorziati.

Impugnata l’aggiudicazione da parte del secondo graduato, il TAR Lazio ha respinto il ricorso, ritenendo di condividere l’assunto di base dell’offerta del concorrente, che aveva validamente ritenuto di potersi imputare la qualificazione SOA di una qualsiasi delle proprie consorziate, anche se non designata come esecutrice e di poter, attraverso tale qualificazione, far eseguire le prestazioni ad altra impresa designata esecutrice, benché priva in proprio della qualificazione.

La pronuncia ha richiamato copiosa giurisprudenza formatasi in vigenza del nuovo codice dei contratti, e in particolare del “nuovo” comma 2-bis dell’art. 47 introdotto con il cd. decreto “sblocca cantieri” (d.l. n. 39/2019), secondo cui “la sussistenza in capo ai consorzi stabili dei requisiti richiesti nel bando di gara per l’affidamento di servizi e forniture è valutata, a seguito della verifica della effettiva esistenza dei predetti requisiti in capo ai singoli consorziati”, ritenendo che, anche alla luce di detta disposizione, il meccanismo del “cumulo alla rinfusa” non potesse essere interpretato in senso restrittivo, se non a pena di  snaturare il principio mutualistico che regge la causa consortile.

Veniva citata in particolare una recente pronuncia del Consiglio di Stato, la n. 2588/2021 in cui era stato affermato che la disposizione di cui al citato comma 2-bis del d.lgs. n. 50/2016 “letta in combinato con la regola del c.d. cumulo alla rinfusa dei requisiti del consorzio stabile prevista dal medesimo art. 47, comma 1, deve ragionevolmente essere intesa nel senso che essa abbia inteso introdurre un onere di verifica dei requisiti di qualificazione da svolgere presso gli operatori economici partecipanti al consorzio stabile e che a quest’ultimo hanno apportato le loro rispettive capacità tecnico-professionali o economico-finanziarie.

Dalla medesima disposizione non può invece desumersi che il singolo consorziato, indicato in gara come esecutore dell’appalto, debba essere a sua volta in possesso dei requisiti di partecipazione.

Come sottolineano le parti appellanti ad opinare in questo senso verrebbero svuotate la finalità pro concorrenziali dell’istituto del consorzio stabile, oltre che il suo stesso fondamento causale, enunciato dall’art. 45, comma 2, lett. c), del Codice dei contratti pubblici, ed incentrato sullo stabile apporto di capacità e mezzi aziendali in una «comune struttura di impresa» deputata ad operare nel settore dei contratti pubblici ed unica controparte delle stazioni appaltanti, secondo quanto previsto dall’art. 47, comma 2, del Codice (cfr. in questo senso, da ultimo: Cons. Stato, V, 2 febbraio 2021, n. 964; 11 dicembre 2020, n. 7943)”.

L’appello e la sentenza del Consiglio di Stato n. 7360/2022

Avverso detta pronuncia è stato proposto appello, che si è concluso con la sentenza in commento che, in riforma di quella di primo grado, ha sposato un opposto filone giurisprudenziale.

L’appellante, in particolare, ha contestato la decisione sull’assunto che, alla luce della formulazione dell’art. 47, comma 1 presente nel d.lgs. n. 50/2016 (“I requisiti di idoneità tecnica e finanziaria per l’ammissione alle procedure di affidamento dei soggetti di cui all’articolo 45, comma 2, lettere b) e c), devono essere posseduti e comprovati dagli stessi con le modalità previste dal presente codice, salvo che per quelli relativi alla disponibilità delle attrezzature e dei mezzi d’opera, nonché all’organico medio annuo, che sono computati cumulativamente in capo al consorzio ancorché posseduti dalle singole imprese consorziate”), l’utilizzo indiscriminato del “cumulo alla rinfusa” dovrebbe essere oggi limitato “alla sola disponibilità delle attrezzature e dei mezzi d’opera, nonché all’organico medio annuo”, e che, quindi, ai consorzi stabili sarebbe concessa l’alternativa di eseguire le prestazioni autonomamente con una propria struttura, oppure tramite un società consorziata indicata in sede di gara, che fosse, però, in possesso della qualificazione richiesta (con facoltà di integrazione limitata, appunto, alle attrezzature, ai mezzi e all’organico).

Al fine di far emergere l’irragionevolezza di ammettere un “cumulo alla rinfusa” indiscriminato, l’appellante valorizzava gli esiti (definiti “paradossali”) di tale approccio, tali per cui il consorzio aggiudicatario si era qualificato spendendo la SOA di una propria consorziata (non esecutrice e che aveva altresì autonomamente concorso in gara), mentre i lavori avrebbero finito per essere eseguiti da un’altra consorziata, la cui struttura aziendale e organizzativa era di per sé priva della qualificazione necessaria.

Il Consiglio di Stato ha ritenuto persuasivo l’appello, riconoscendo che l’unica opzione ermeneutica che consenta di contemperare le due disposizioni (da un lato, il comma 1, che prevede espressamente il “cumulo alla rinfusa” per il solo personale, mezzi d’opera e organico medio annuo, dall’altra il comma 2-bis che stabilisce che la qualificazione del consorzio non possa prescindere dalla verifica della effettiva esistenza dei predetti requisiti in capo ai singoli consorziati) sia quella per cui:

a) i consorzi stabili che intendano eseguire le prestazioni “con la propria struttura” devono dimostrare (e comprovare con le modalità ordinarie) il possesso, in proprio, dei “requisiti di idoneità tecnica e finanziaria” per l’ammissione alle procedure di affidamento, salva la facoltà di “computare cumulativamente” i (soli) requisiti relativi alla disponibilità delle attrezzature e dei mezzi d’opera e all’organico medio annuo, quand’anche posseduti “dalle singole imprese consorziate”, ancorché non designate alla esecuzione;

b) i lavori possono, in alternativa, essere affidati (senza che ciò costituisca subappalto) alle imprese consorziate, all’uopo indicate in sede di gara, che ne risultano corresponsabili.

In quest’ultimo caso, la norma non chiarisce espressamente le modalità di qualificazione dei consorziati designati per l’esecuzione nel caso in cui non possano dimostrarne il possesso in proprio, ed è qui che il Consiglio di Stato si discosta dalle conclusioni del primo Giudice.

La sentenza afferma difatti che dalla lettura dell’art. 47, comma 1 non possa che discendere l’operatività limitata del cumulo: la carenza di requisiti tecnici (in quanto attinenti alle risorse reali: attrezzature e mezzi) o professionali (attinenti alle risorse umane in senso quantitativo: organico medio) non preclude la partecipazione alla gara e l’assunzione dell’impegno ad eseguire le prestazioni contrattuali, potendo l’impresa “avvalersi” dei requisiti del consorzio (o, in via mediata, delle altre consorziate non esecutrici); al di fuori dei ridetti limiti, che sono oggi, come vale ribadire, quelli “generali” della valorizzazione “cumulativa” dei requisiti nella partecipazione in forma consortile, deve invece applicarsi la regola generale che impone a ciascun concorrente la dimostrazione del possesso dei “requisiti” e delle “capacità” di qualificazione (artt. 83 e 84).

Conseguenza di quanto sopra è, secondo il Consiglio di Stato, che l’impresa consorziata non qualificata può valorizzare i requisiti posseduti, in proprio, dal consorzio stabile ovvero dalle consorziate non esecutrici; tuttavia, in tal caso – lungi dal poter sfruttare il meccanismo del “cumulo automatico” – ha l’onere di ricorrere all’ordinario strumento dell’avvalimento (art. 89).

Sulla scorta di queste premesse, il Consiglio di Stato tratteggia le seguenti coordinate ermeneutiche:

a) la possibilità di “qualificazione cumulativa”, nell’ambito dei consorzi stabili, è limitata ai requisiti relativi alla disponibilità delle attrezzature e mezzi d’opera e all’organico medio annuo (cfr. art. 47, comma 1);

b) i consorzi stabili possono, per tal via, partecipare alle gare qualificandosi in proprio(art. 47, comma 2, prima ipotesi) e comprovando i propri requisiti di idoneità tecnica e finanziaria, potendo, a tal fine, cumulare attrezzature, mezzi d’opera e organico medio annuo di tutte le consorziate (con il limite, non codificato ma implicito, del divieto di cumulo in caso di autonoma partecipazione, alla medesima gara, dell’impresa consorziata, che autorizzerebbe una implausibile valorizzazione moltiplicativa dei medesimi requisiti: cfr., per la relativa vicenda, Corte di Giustizia UE, C-376/08, 23 dicembre 2009);

c) i consorzi stabili, anche quando partecipino e si qualifichino in proprio, possono eseguire la prestazione (oltreché con la propria struttura) per il tramite delle consorziate, ancorché non indicate come esecutrici in sede di gara (onde, in chiara – seppur circostanziata – prospettiva proconcorrenziale, il ricorso alla struttura consortile consente ad imprese non qualificate di partecipare, sia pure indirettamente, alle procedure di affidamento): si tratterebbe – nella ricostruzione dell’Adunanza Plenaria n. 5/2021, che argomenta dal confronto con la previgente formulazione dell’art. 47, comma 2, di “una forma di avvalimento attenuata dall’assenza di responsabilità”;

d) in alternativa, il consorzio può designare, per l’esecuzione del contratto, una o più delle imprese consorziate (che, in tal caso, partecipano direttamente alla gara, concorrendo alla sostanziale formulazione dei tratti, anche soggettivi, dell’offerta ed assumendo, in via solidale, la responsabilità per l’esatta esecuzione, ancorché la formalizzazione del contratto sia rimessa al consorzio, che è parte formale);

e) in tal caso (che è quello in cui si sussume la vicenda di specie) è necessario che le imprese designate possiedano e comprovino (con la ribadita salvezza dei, limitati e specifici, casi di qualificazione cumulativa) i requisiti, tecnici e professionali, di partecipazione.

L’aggiudicazione è stata quindi annullata, e con essa la sentenza di primo grado che l’aveva invece confermata, in quanto il Consiglio di Stato, nel negare che potesse ricorrere al “cumulo alla rinfusa”, ha ritenuto l’aggiudicataria priva dei requisiti di qualificazione.

Osservazioni conclusive

La sentenza commentata, se da un lato ha il pregio di delineare in modo molto chiaro la soluzione accolta, nonché quelli che ha ritenuto essere i limiti di operatività del meccanismo del “cumulo”, dall’altra costituisce un ulteriore passo nella direzione della totale confusione sulla effettiva disciplina di tale strumento, che nasce con scopo pro-concorrenziale e rischia di essere, allo stato attuale, un’arma a doppio taglio (come accaduto nel caso oggetto di pronuncia, in cui l’aggiudicazione è stata infine annullata per utilizzo del cumulo alla rinfusa oltre i limiti – in questo caso – riconosciuti).

Non più di un mese prima della pubblicazione di questa sentenza, l’ANAC aveva pubblicato un atto di segnalazione a Governo e Parlamento proprio su questo tema, rappresentando una soluzione sostanzialmente opposta a quella poi sposata da Consiglio di Stato con la sentenza n. 7360 dello scorso 22 agosto.

Si legge in tale documento che, in termini esattamente antitetici rispetto a quanto affermato dal Consiglio di Stato, “Il comma 2-bis dell’articolo 47 introduce un meccanismo di favore per i soli consorzi stabili, stabilendo che la sussistenza in capo a detti consorzi dei requisiti richiesti nel bando di gara per l’affidamento di servizi e forniture è valutata a seguito della verifica della effettiva esistenza dei predetti requisiti in capo ai singoli consorziati. La norma, quindi, si limita a precisare che è possibile imputare al consorzio stabile i requisiti  posseduti dai singoli consorziati, previa verifica della effettiva esistenza in capo agli stessi. La disposizione non pone alcuna limitazione a tale utilizzo, se non quello della previa verifica della sussistenza. Come correttamente osservato dal TAR Lazio nella sentenza 4082/2022, non vi è alcuna distinzione tra consorziate esecutrici e non. Il dato testuale depone, quindi, per l’utilizzabilità del cumulo alla rinfusa per i consorzi stabili, senza limitazioni in ordine alla tipologia di requisiti e alla natura delle consorziate”; il documento cita anche copiosa giurisprudenza del Giudice amministrativo, in linea con questa posizione.

E’ quindi evidente che un chiarimento normativo, prima ancora che opportuno, sia assolutamente necessario, sia per evitare che il ruolo di legislatore sussidiario debba (ancora una volta) essere svolto dalla giustizia amministrativa – che, tuttavia, in questa partita, non appare particolarmente incline ad un approccio uniforme – sia per restituire stabilità ad una norma travagliata, che nel corso di pochi anni ha subito molteplici modifiche, l’una nel senso opposto rispetto alla precedente, riallineandola con il principio di certezza del diritto che scaturisce dalla normativa euro-unitaria, e che sembra ad oggi una lontana speranza.

La giusta sede potrebbe essere il nuovo testo del codice dei contratti, che dovrebbe essere licenziato dalla commissione speciale entro il prossimo mese di ottobre 2022, per entrare ufficialmente poi in vigore nel marzo 2023, come da milestone prevista dal PNRR.