Uno, nessuno e centomila gravi illeciti professionali: la “cangiante” rilevanza temporale delle condanne penali non definitive

La condanna penale non definitiva a carico dell’operatore economico non rileva quale grave illecito professionale ex art. 80, comma 5, lett. c), d.lgs. n. 50/2016, laddove il fatto sia stato commesso più di tre anni prima dell’indizione della gara, in virtù della diretta applicabilità dell’art. 57, par. 7, della direttiva 2014/24/UE.

6 Maggio 2022
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La condanna penale non definitiva a carico dell’operatore economico non rileva quale grave illecito professionale ex art. 80, comma 5, lett. c), d.lgs. n. 50/2016, laddove il fatto sia stato commesso più di tre anni prima dell’indizione della gara, in virtù della diretta applicabilità dell’art. 57, par. 7, della direttiva 2014/24/UE.

Autori: Andrea Antonio Talivo e Vittoria Donat-Cattin

1. Il caso di specie e la decisione del TAR Campania

Nel 2021 la società ricorrente partecipava a una procedura di gara telematica indetta da un Comune, ai sensi del Codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 e s.m.i., per l’affidamento di lavori di importo inferiore alla soglia UE.

Dopo aver presentato i chiarimenti richiesti dalla stazione appaltante in ordine alle dichiarazioni rese nell’ambito della procedura de qua, detta società veniva esclusa dalla gara ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. c), d.lgs. n. 50/2016, a causa della sussistenza di una sentenza non definitiva a carico del suo legale rappresentante, condannato in primo grado alla pena di tre anni di reclusione per la violazione delle norme antinfortunistiche che aveva determinato la caduta e quindi il decesso di un operaio edile in data 11.04.2015.

Tale provvedimento di esclusione, ritualmente impugnato dalla società ricorrente, è stato annullato dal TAR Campania con la pronuncia qui in esame, che lo ha giudicato illegittimo poiché “tra il fatto che aveva originato la sentenza di condanna non definitiva (11/4/2015) e l’indizione della gara sono trascorsi più di tre anni”. In particolare, secondo quanto statuito dal collegio adito, considerato che “l’art. 80 del d.lgs. n. 50/2016 non stabilisce alcunché in ordine all’efficacia temporale della causa di esclusione, laddove il fatto valutabile come illecito professionale, ai sensi del co. 5, lett. c), derivi da una sentenza penale non definitiva”, deve ritenersi direttamente applicabile l’art. 57, par. 7, della direttiva 2014/24/UE, ai cui sensi il periodo di esclusione non può essere superiore ai tre anni “dalla data del fatto”, inteso in specie quale data della sua commissione (i.e. l’11.04.2015).

Invero, secondo la giurisprudenza richiamata dal TAR Campania (cfr. Cons. Stato, sez. V, 27 gennaio 2022, n. 575), l’art. 80, commi 10 e 10-bis, del d.lgs. n. 50/2016, disciplinerebbe l’efficacia temporale solo delle esclusioni derivanti da:

  1. una sentenza penale di condanna definitiva che non fissi la durata della pena accessoria dell’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione;
  2. un provvedimento amministrativo di esclusione.

Dunque, la norma ometterebbe di definire la durata massima di rilevanza dei gravi illeciti professionali costituiti da una condanna penale non definitiva: a tal fine si renderebbe quindi necessario ricorrere in via suppletiva alla pertinente normativa euro-unitaria, ossia – come visto – all’art. 57, par. 7, della direttiva 2014/24/UE. La disposizione prevede che, nei casi di cui al precedente paragrafo 4 (tra i quali rientrano i gravi illeciti professionali), “(…) se il periodo di esclusione non è stato fissato con sentenza definitiva, tale periodo non supera (…) i tre anni dalla data del fatto”.

In virtù di tali rilievi, il giudice amministrativo ha dunque concluso per l’illegittimità del provvedimento di esclusione adottato dall’Amministrazione resistente in violazione dell’art. 57, par. 7, della direttiva 2014/24/UE.

2. Considerazioni e profili critici alla luce del dibattito giurisprudenziale in materia

Con la sentenza in commento, il TAR Campania ha aderito all’interpretazione recentemente (ri)proposta dal Consiglio di Stato, che, in tema di rilevanza temporale dei gravi illeciti professionali costituiti da sentenze penali non definitive, non si limita ad applicare direttamente l’art. 57, par. 7, della direttiva 2014/24/UE, e quindi a prendere in considerazione quale arco temporale rilevante il triennio dalla “data del fatto” ivi indicato, bensì si spinge ad ancorare la decorrenza di tale periodo alla data di commissione del fatto anziché a quella del suo accertamento giurisdizionale (cfr. Cons. Stato, sez. V, 27 gennaio 2022, n. 575 e 7 settembre 2021, n. 6233).

Ora, non può non segnalarsi come tale soluzione ermeneutica desti talune perplessità non solo e non tanto i) in relazione alla presunta diretta applicabilità dell’art. 57, par. 7, della direttiva 2014/24/UE, nell’ordinamento interno, quanto piuttosto ii) in relazione alla pretesa decorrenza del triennio dalla data di commissione del fatto penalmente rilevante invece che da quella del suo accertamento in giudizio, costituendo quest’ultima una posizione ormai ampiamente superata, poiché contraria alle (univoche e risalenti) indicazioni fornite in merito sia dall’ANAC che dalla giurisprudenza dominante.

Segnatamente, quanto al suddetto profilo sub i) vale rimarcare che, secondo il TAR Campania, a fronte del silenzio serbato dal legislatore in merito al perimetro di rilevanza del grave illecito professionale costituito da una condanna penale non definitiva, occorre “rifarsi” alla normativa euro-unitaria.

Al riguardo, può essere utile in questa sede rammentare brevemente l’assetto combinato delle disposizioni (nazionali) in rilievo ai fini della presente disamina.

L’art. 80, comma 10-bis, d.lgs. n. 50/2016 stabilisce che “(…) Nei casi di cui al comma 5, la durata della esclusione è pari a tre anni, decorrenti dalla data di adozione del provvedimento amministrativo di esclusione ovvero, in caso di contestazione in giudizio, dalla data di passaggio in giudicato della sentenza. Nel tempo occorrente alla definizione del giudizio, la stazione appaltante deve tenere conto di tale fatto ai fini della propria valutazione circa la sussistenza del presupposto per escludere dalla partecipazione alla procedura l’operatore economico che l’abbia commesso.

La norma fa riferimento ai casi di cui all’art. 80, comma 5, d.lgs. n. 50/2016, che, in attuazione dell’art. 57, par. 4, direttiva 2014/24/UE, disciplina le cause di esclusione dalla gara rimesse dal legislatore europeo alla normazione facoltativa degli ordinamenti interni.

Come noto, trattasi di situazioni eterogenee che possono dar luogo all’esclusione dell’operatore economico secondo la valutazione discrezionale della stazione appaltante e tra esse figurano, in particolare, i gravi illeciti professionali di cui alla lett. c) del citato art. 80, comma 5, che determinano l’esclusione dell’operatore economico laddove la stazione appaltante dimostri “con mezzi adeguati” l’idoneità di detti illeciti a rendere dubbia l’integrità o l’affidabilità del concorrente.

I successivi commi 7 e 8 della medesima norma contemplano peraltro la possibilità che l’operatore economico sia ammesso comunque a partecipare alla gara qualora provi di aver adottato sufficienti misure di self-cleaning e, quindi, “di aver risarcito o di essersi impegnato a risarcire qualunque danno causato dal reato o dall’illecito e di aver adottato provvedimenti concreti di carattere tecnico, organizzativo e relativi al personale idonei a prevenire ulteriori reati o illeciti”.

Tanto precisato, il TAR Campania patrocina in specie un’interpretazione letterale del richiamato art. 80, comma 10-bis, del Codice, alla cui stregua, esso si limiterebbe a stabilire la durata massima dell’esclusione nel solo caso in cui il grave illecito professionale sia già stato sanzionato in precedenza con l’adozione di un provvedimento amministrativo di esclusione.

Tuttavia, il Consiglio di Stato ha più volte confutato tale soluzione esegetica, ritenendola invero “non ragionevole”, poiché conduce “ad assegnare al provvedimento di esclusione efficacia al di fuori della procedura cui si riferisce”, mentre “il provvedimento di esclusione, per sua stessa natura, si riferisce ad una singola e specifica procedura di gara e non può avere effetti oltre questa”. Diversamente opinando, a parere del Supremo Consesso, si correrebbe il rischio di realizzare “una indefinita protrazione di efficacia “a strascico” del primo provvedimento per cui l’esclusione da una gara genera l’esclusione dall’altra e così via in ribalzo continuo da una procedura all’altra” (cfr. Cons. Stato, sez. V, 23 febbraio 2022, n. 1291; id., 3 settembre 2021, n. 6212; id., 29 ottobre 2020, n. 6635; id., 20 dicembre 2021, n. 8462; id., 17 marzo 2020, n. 1906; id., 27 settembre 2019, n. 6490).

Dunque, si tratta di un “meccanismo a catena” illegittimo, poiché contrario al principio generale che governa l’art. 80 del Codice dei contratti pubblici, secondo cui l’esclusione non deve trascendere i confini della procedura di gara in cui è maturata (cfr. Cons. Stato, sez. V, 10 gennaio 2022, n. 166; TAR Campania, Napoli, sez. II, 31 gennaio 2022, n. 639).

Ciò impone quindi una interpretazione (non letterale bensì) sistematica dell’art. 80, comma 10-bis, citato, in virtù della quale, il richiamo ai “casi di cui al comma 5” deve ritenersi “applicabile, in via di interpretazione estensiva, “a tutte le ipotesi di grave illecito professionale (e, quindi, pure a quelle correlate all’emissione di una sentenza di condanna non automaticamente ostativa ex art. 80 comma 1 d. lgs. n. 50/16)””, a prescindere dalla circostanza che esse abbiano dato luogo o meno a un precedente provvedimento di esclusione (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 5 agosto 2020, n. 4937; TAR Campania, Napoli, sez. VIII, 9 febbraio 2021, n. 832).

Ed infatti, “tale impostazione è dettata dall’esigenza di applicare in maniera logica, razionale e conforme al principio di uguaglianza l’art. 80 del d. lgs. n. 50/16, risultando ingiustificata, nell’ambito della medesima fattispecie del “grave illecito professionale”, una differenziata rilevanza temporale delle vicende (sentenze di condanna, da una parte, e provvedimenti amministrativi, dall’altra) integranti tale ipotesi escludente” (cfr. TAR Lazio, Roma, sez. II-ter, 11 maggio 2020, n. 4917, cui rinvia la Delibera ANAC n. 490 del 10 giugno 2020).

Pertanto, contrariamente a quanto affermato in specie dal TAR Campania, nessuna lacuna è ravvisabile nell’art. 80, comma 10-bis, del d.lgs. n. 50/2016.

Invero, secondo l’orientamento pretorio dominante, la norma è stata introdotta ad opera del c.d. “Decreto Sblocca cantieri” (i.e. il D.L. 18 aprile 2019, n. 32, convertito con modificazioni dalla legge 14 giugno 2019, n. 55) proprio per sopperire al vuoto legislativo riscontrato nel regime anteriore, in cui – in effetti – non era stata disciplinata la durata massima di rilevanza delle cause di esclusione facoltative di cui al comma 5, nonostante l’art. 57, par. 7, direttiva 2014/24/UE, imponesse al legislatore nazionale un preciso dovere in tal senso.

Dunque, con la riforma del 2019, il legislatore si è (finalmente) determinato a colmare la lacuna e ad introdurre così – complice anche la “pressione” esercitata in tal senso dalle Istituzioni europee – la disciplina sulla rilevanza temporale di tutte le cause di esclusione facoltative di cui al comma 5 dell’art. 80 del Codice.

Ebbene, secondo il prevalente orientamento espresso dal Giudice Amministrativo, l’art. 80, comma 10-bis, d.lgs. n. 50/2016 ha fissato la durata massima di rilevanza di tutti i gravi illeciti professionali – comprese le sentenze penali non definitive – in tre anni, “decorrenti (…), in caso di contestazione in giudizio, dalla data di passaggio in giudicato della sentenza”, consentendo una loro valutazione discrezionale da parte delle stazioni appaltanti (anche) per tutto il “tempo occorrente alla definizione del giudizio” (sul tema degli obblighi dichiarativi in pendenza del procedimento penale si rinvia al recente contributo degli stessi autori sulla stessa rivista “Gravi illeciti professionali e self cleaning: discrezionalità e onere motivazionale della p.a. in caso di ammissione alla gara. Commento a TAR Lombardia – Milano, sez. IV, 24 marzo 2022, n. 668). Così facendo, il Governo italiano ha quindi ottemperato alle indicazioni impartite dalla Commissione europea nell’ambito della procedura di infrazione n. 2018/2273 (Cons. Stato, sez. III, 1 giugno 2021, n. 4201; id., sez. IV, 5 agosto 2020, n. 4937; id., sez. V, 15 febbraio 2021, n. 1335 e 29 ottobre 2020, n. 6635, recentemente richiamata da id., sez. V, 16 dicembre 2021, n. 8406 e 20 dicembre 2021, nn. 8461 e 8462; id., sez. VI, 4 dicembre 2020, n. 7685; Cons. giust. amm. Sicilia, sez. giurisd., 19 aprile 2021, n. 326; TAR Toscana, Firenze, sez. III, 19 luglio 2021, n. 1064; TAR Molise, Campobasso, sez. I, 14 maggio 2021, n. 175; TAR Lazio, Roma, sez. I, 11 febbraio 2021, n. 1725; id., sez. II, 6 luglio 2020, n. 7742; TAR Campania, Salerno, sez. II, 22 marzo 2021, n. 731; id., sez. I, 22 ottobre 2020, n. 1506; TAR Lombardia, Brescia, sez. I, 12 giugno 2020, n. 448, confermata in appello).

Pertanto, l’esistenza di una norma quale quella recata (a partire dal 2019) dal comma 10-bis dell’art. 80 cit. – che prevede “una disciplina specifica in punto di rilevanza temporale delle fattispecie escludenti rimesse all’apprezzamento discrezionale della stazione appaltante ai sensi del comma 5 dell’art. 80 citato” – “rende oggi non più necessario sostenere l’efficacia diretta” dell’art. 57, par. 7, della direttiva 2014/24/UE (v. TAR Lazio, Roma, n. 4917/2020, cit.).

Secondo l’ANAC, il “testo attualmente vigente dell’art. 80, commi 10 e 10 bis, del Codice” rende oggi più agevole sostenere che la rilevanza escludente dei gravi illeciti costituiti da una condanna penale “resta confinata nel limite del triennio dal giudicato”, sebbene si tratti di una tesi valida – a detta della medesima ANAC – (già) in relazione alle gare indette “prima delle modifiche apportate dal cd. Sblocca cantieri”. Infatti, “già in sede di parere sul d.lgs. 56/2017, il Consiglio di Stato aveva rilevato come la locuzione “tre anni, decorrenti dalla data del suo accertamento definitivo, nei casi di cui ai commi 4 e 5 ove non sia intervenuta sentenza di condanna”, andasse intesa nel senso che i tre anni decorrono dalla data dell’accertamento definitivo, ove non sia intervenuta sentenza di condanna da cui discenda la pena accessoria del divieto a contrarre”. Dunque, deve ritenersi che già all’epoca “le sentenze di condanna, costituenti un grave illecito professionale, [avessero] efficacia potenzialmente escludente per un periodo di tre anni dal giudicato” (cfr. Delibera ANAC n. 490/2020, cit.).

Ebbene, a seguito dell’introduzione del comma 10-bis ad opera del Decreto Sblocca cantieri, non può che essere venuta meno la necessità di invocare la diretta applicabilità dell’art. 57, par. 7, della direttiva 2014/24/UE, visto che l’efficacia diretta delle disposizioni di una direttiva euro-unitaria è configurabile solo “in mancanza di provvedimenti d’attuazione” (cfr. Corte di Giustizia UE, 19 novembre 1991, Andrea Francovich, Danila Bonifaci e altri c. Repubblica italiana, cause riunite C-6/90 e C-9/90).

Nel caso di specie il TAR Campania si è mostrato invece di diverso avviso.

Per giunta, esso non si è limitato ad aderire all’orientamento (minoritario) che, ravvisando tutt’oggi una lacuna nell’ordinamento interno, continua ad ancorare la decorrenza del triennio di rilievo dei gravi illeciti professionali alla “data del fatto” di cui all’art. 57, par. 7, direttiva 2014/24/UE, ma si è spinto ad identificare tale dies a quo nella data di commissione dell’illecito, (ri)proponendo così una soluzione che risulta ormai del tutto anacronistica, alla luce delle indicazioni offerte dal consolidato indirizzo espresso tanto dall’ANAC quanto dallo stesso Giudice Amministrativo nei termini sopra illustrati.

Come noto, fatta eccezione per due isolati arresti giurisprudenziali (cfr. Cons. Stato, sez. V, nn. 575/2022 e 6233/2021, cit.), i Collegi che si dicono a favore della diretta applicabilità della norma euro-unitaria smentiscono – pressoché unanimemente – la tesi “diretta a sostenere che i tre anni sarebbero decorsi in quanto correlati alla verificazione del fatto storico e non alla data di adozione del provvedimento giurisdizionale” (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. V, 9 dicembre 2021, n. 7912). Invero, “il testo dell’art. 57, par. 7 della direttiva 2014/24/UE non implica affatto che per “data del fatto” debba intendersi la data di commissione del reato, in quanto in questo modo verrebbero meno i principi di effettività e di giustizia sostanziale”: posto che un reato “il più delle volte viene occultato dal responsabile”, la decorrenza del termine triennale di esclusione dalla data della sua commissione anziché dalla data del suo accertamento giurisdizionale “equivarrebbe a privare di ogni effetto il precetto normativo, il che non è possibile. Oltretutto, “in caso di condotte reiterate nel tempo, potrebbero sussistere dubbi sull’individuazione del momento in cui inizia a decorrere il termine triennale che – invece – per propria natura deve ancorarsi ad un preciso momento storico

È evidente, infatti, che “l’interpretazione (…) secondo cui il dies a quo sarebbe da individuarsi nella condotta storica (…) pregiudicherebbe in pratica qualsivoglia possibilità, per la stazione appaltante, di prudente apprezzamento, vista la brevità del termine (tre anni) e il mancato governo delle informazioni rilevanti (dipendendo queste da attività di accertamento svolta dai competenti organi inquirenti)” (cfr. TAR Campania, Salerno, n. 731/2021, cit.).

Peraltro, nelle Linee guida n. 6 (aventi ad oggetto l’“Indicazione dei mezzi di prova adeguati e delle carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto che possano considerarsi significative per la dimostrazione delle circostanze di esclusione di cui all’articolo 80, comma 5, lettere c), c-bis), c-ter) e c-quater) del codice dei contratti pubblici”), l’ANAC ha affermato espressamente che “la stazione appaltante deve valutare, ai fini dell’eventuale esclusione del concorrente, i provvedimenti di condanna non definitivi (…) qualora contengano una condanna al risarcimento del danno o uno degli altri effetti tipizzati dall’art. 80, comma 5, lett. c)”.

A tale specifico riguardo, inoltre, occorre evidenziare che è attualmente in corso l’aggiornamento delle medesime Linee guida ANAC n. 6, le quali – quantunque evidentemente non applicabili, ratione temporis, alla controversia in esame – specificano che “Nel caso di sentenze di condanna non definitive per reati incidenti sull’integrità o sulla moralità del concorrente, il periodo di esclusione decorre dalla data della sentenza di condanna. Nel caso di rinvio a giudizio o di adozione di provvedimenti cautelari per reati di cui al periodo precedente, il periodo di esclusione decorre dal provvedimento che dispone il rinvio a giudizio o la misura cautelare”. Ebbene, malgrado i dubbi ingenerati dal metodo ivi proposto dall’ANAC per il computo dei tre anni ex art. 80, comma 10-bis, d.lgs. n. 50/2016, come si evince anche da tale provvedimento, il dies a quo del triennio coincide non con la data di commissione del fatto – come di contro affermato dal TAR Campania nel caso qui disaminato – bensì con la data della sentenza di condanna ovvero del provvedimento che dispone il rinvio a giudizio o la misura cautelare.

Parimenti, deve rilevarsi che i Collegi che invocano ancora oggi la diretta applicabilità dell’art. 57, par. 7, direttiva 2014/24/UE, ‘saldano’ la decorrenza del triennio di rilevanza talora alla data della condanna non definitiva (cfr. Cons. Stato, sez. V, 8 aprile 2021, n. 2838) talaltra alla data dell’“atto del procedimento penale che valga ad attribuire rilevanza e significanza a determinate condotte (misure cautelari, decreto di rinvio a giudizio)” (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. VI, 26 febbraio 2021, n. 1301, confermata da Cons. Stato, sez. IV, 10 novembre 2021, n. 7501). In altri termini, ragioni di coerenza e di certezza del diritto impongono che i fatti penalmente rilevanti abbiano valenza (potenzialmente) ostativa quali gravi illeciti professionali per un periodo non superiore a tre anni, decorrenti dal momento in cui gli stessi, pur non definitivamente accertati, “abbiano quodammodo assunto un peculiare grado di significanza e rilevanza” in quanto posti a fondamento di provvedimenti che – come i provvedimenti emessi dalle autorità inquirenti in corso o all’esito delle indagini penali – implicano “un preliminare vaglio della consistenza degli elementi di prova della sussistenza di detti fatti” (cfr. TAR Campania, Napoli, n. 1302/2021, cit.).

In ragione di tutto quanto sopra, può quindi concludersi che, sebbene la rilevanza temporale dei gravi illeciti professionali sia al centro di un annoso dibattito, per la cui risoluzione verosimilmente occorrerà attendere l’intervento dell’Adunanza Plenaria o – auspicabilmente – della Corte di Giustizia UE, comunque l’interpretazione offerta nel caso in esame dal TAR Campania – sulla scorta di due arresti isolati del Consiglio di Stato – appare difficilmente sostenibile nell’attuale contesto normativo e giurisprudenziale. Infatti, con l’introduzione del suddetto art. 80, comma 10-bis, del d.lgs. n. 50/2016, sembrerebbe venuta meno l’esigenza di computare il triennio di rilevanza dei gravi illeciti professionali dalla “data del fatto” di cui all’art. 57, par. 7, direttiva 2014/24/UE, e, in ogni caso, il Giudice Amministrativo già da tempo ha cessato di identificare tale data con la data di commissione del fatto, complici anche le indicazioni fornite in tal senso dall’ANAC.