Certificazione della parità di genere e avvalimento premiale: alla ricerca di un punto fermo

Chiara Pagliaroli 25 Giugno 2025
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Premessa

La sentenza della VI Sezione del Consiglio di Stato n. 5345 del 18 giugno 2025 consente di soffermarsi sul contrasto che si riscontra in giurisprudenza in merito alla possibilità di ricorrere all’avvalimento premiale per sopperire alla carenza del possesso della certificazione della parità di genere di cui all’art. 46-bis del d.lgs. n. 198/2006[1] (c.d. Codice delle pari opportunità tra uomo e donna), al fine di migliorare la propria offerta e conseguire il punteggio tabellare previsto dalla lex specialis di gara.

Il contrasto interpretativo in atto

Ad avviso di un primo orientamento, la certificazione della parità di genere non può costituire oggetto di avvalimento (cfr. T.R.G.A. Bolzano, 4 novembre 2024, n. 257[2]; T.R.G.A. Bolzano, 20 febbraio 2025, n. 54[3]; T.A.R. Campania Napoli, Sez. II, 23 maggio 2025, n. 3963).
Le ragioni poste alle base di questo indirizzo sono le seguenti.
In primo luogo, la certificazione della parità di genere attiene a una condizione soggettiva (finanche etica) dell’operatore economico che concorre alla gara e, come tale, non può costituire oggetto di un contratto di avvalimento, non essendo assimilabile a una risorsa da mettere a disposizione di terzi, che, poi, la potrebbero impiegare nell’esecuzione di un lavoro, di un servizio o di una fornitura.
In secondo luogo, le politiche e le misure adottate dai datori di lavoro per ridurre il divario di genere all’interno delle singole realtà aziendali non si prestano ad essere efficacemente trasferite ad altre realtà, che potrebbero, in tesi, presentare maggiori o minori divari in settori e aree anche del tutto diversi tra loro. Inoltre, anche ammettendo che esistano realtà simili o sovrapponibili, l’eventuale ausilio (in termini di consulenza o di supervisione) fornito dall’impresa ausiliaria per stabilire quali siano le politiche e le misure più adatte e idonee per superare il divario di genere presente all’interno della struttura organizzativa della società ausiliata non sortirebbe alcun effetto utile, dal momento che il legislatore riserva queste valutazioni ad appositi organismi accreditati.
Un secondo filone interpretativo – cui aderisce la sentenza che si annota – ritiene, invece, che anche la certificazione della parità di genere possa costituire oggetto di avvalimento premiale, a condizione che venga messa a disposizione dell’impresa ausiliata l’organizzazione aziendale che ha consentito al soggetto ausiliario di ottenere la certificazione (così T.A.R. Marche, Sez. I, 7 novembre 2024, n. 862, sub iudice; T.A.R. Lombardia Brescia, Sez. II, 6 giugno 2025, n. 513[4]; T.A.R. Toscana, Sez. I, 10 giugno 2025, n. 1026).
Gli argomenti posti a fondamento di questo orientamento possono essere sintetizzati nei termini che seguono.
In primo luogo, occorre considerare che l’istituto in esame, di chiara derivazione euro-unitaria, mira a conseguire, nella misura più ampia possibile, l’apertura del mercato dei contratti pubblici a vantaggio non solo degli operatori economici (ivi incluse le micro, piccole e medie imprese), ma anche delle amministrazioni aggiudicatrici, ragion per cui “i giudici nazionali sono tenuti a prediligere, in sede interpretativa, anche al fine di garantire il cd. «effetto utile», le soluzioni ermeneutiche che ne consentano l’operatività o che, comunque, ne assicurino il più vasto campo di applicazione”.
In secondo luogo, occorre tenere a mente che il nuovo Codice dei contratti pubblici, superando il divieto giurisprudenziale formatosi nella vigenza del precedente quadro normativo, ha ammesso (e persino “liberalizzato”) l’avvalimento premiale c.d. puro; da qui, la necessità di interpretare in chiave necessariamente restrittiva, anche ai sensi dell’art. 14 delle disposizioni sulla legge in generale, i limiti all’operatività dello strumento, positivizzati dall’art. 104 del d.lgs. n. 36/2023, tra i quali non figura quello della certificazione della parità di genere.
In terzo luogo, non va dimenticato che il ricorso all’avvalimento è stato ammesso, purché vi sia l’effettiva messa a disposizione dell’intero complesso aziendale del soggetto al quale è stato riconosciuto il sistema di qualità (v. Cons. Stato, Sez. IV, 16 gennaio 2023, n. 502), anche in relazione alle certificazioni di qualità, genus al quale è sostanzialmente riconducibile anche la certificazione della parità di genere.
Quest’ultima, difatti, al pari delle certificazioni di qualità, non attiene al prodotto, ma al processo e attesta l’adozione, all’interno dell’azienda, di un sistema di gestione conforme a una specifica prassi di riferimento, la UNI/PdR 125:2022. Essa, pertanto, attiene all’organizzazione e ai processi aziendali e comprova che l’impresa ha prescelto un assetto in grado di assicurare l’inclusione e l’equità di genere. Ciò la rende “un attributo del compendio aziendale (inteso ex art. 2555 c.c. quale «complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa»), esportabile, come tale, nella sua oggettività da un’impresa all’altra” (cfr. Cons. Stato, n. 5345/2025, cit.).
Sempre secondo il Consiglio di Stato, “La vicinanza, pur nelle sue indubbie specificità, della certificazione della parità di genere (…) alla figura del «certificato di qualità» si percepisce (…) con chiarezza dalla simmetria con la formulazione letterale dell’attuale Allegato II.8 del nuovo Codice (che ha sostituito l’art. 87, comma 3, del d.lgs. n. 50 del 2016) il quale, al suo punto I, definisce il secondo come il «certificato rilasciato da un organismo di valutazione di conformità quale mezzo di prova di conformità dell’offerta ai requisiti o ai criteri stabiliti nelle specifiche tecniche, ai criteri di aggiudicazione o alle condizioni relative all’esecuzione dell’appalto»”.
Da ultimo, occorre tenere presente che l’art. 108, comma 7, ultimo periodo, del d.lgs. n. 36/2023 si limita a imporre alle stazioni appaltanti di prevedere, all’interno della disciplina di gara, un punteggio premiale legato al possesso della certificazione della parità di genere senza, tuttavia, prescriverne il possesso diretto; inoltre, se il legislatore avesse voluto introdurre un divieto di avvalimento premiale rispetto a questa certificazione lo avrebbe fatto in maniera espressa, intervenendo nella sede più opportuna e cioè sulla disciplina dell’avvalimento e non sulla disciplina generale dei criteri di aggiudicazione.
Poste queste premesse, l’attenzione deve necessariamente spostarsi (e concentrarsi) non tanto sul problema del prestito dei requisiti, quanto piuttosto sul contratto di avvalimento, che deve indicare nel dettaglio le dotazioni e le risorse prestate dall’ausiliaria in favore dell’ausiliata, non potendo ammettersi il prestito della sola certificazione quale mero documento e senza quel minimo d’apparato dell’ausiliaria in grado di dare senso al prestito stesso.
Così, nella vicenda definita dal T.A.R. Marche con la pronuncia n. 862/2024, la previsione, all’interno del contratto di avvalimento premiale, del prestito e della messa a disposizione dell’intera organizzazione aziendale, comprensiva di tutti i fattori della produzione e di tutte le risorse che, complessivamente considerate, hanno consentito alla società ausiliaria di acquisire e di mantenere la certificazione della parità di genere[5], è parsa, ex ante, aderire all’orientamento giurisprudenziale formatosi con riferimento all’avvalimento delle certificazioni di qualità.
Parimenti, anche nella controversia decisa dal T.A.R. Toscana con la sentenza n. 1026/2025, i giudici di prime cure hanno ritenuto che il contratto di avvalimento individuasse con sufficiente concretezza le risorse (in termini di personale, documentazione, know-how, prassi ed elementi aziendali) messe a disposizione dell’ausiliata[6], tant’è che neppure la parte ricorrente aveva mosso contestazioni al riguardo.
Di contro, nella fattispecie risolta dal Consiglio di Stato con la pronuncia n. 5345/2025, il contratto di avvalimento è stato giudicato nullo per genericità e indeterminatezza del suo oggetto.
Ad avviso del Collegio, in particolare, la previsione di formule di mero stile, prive di connotazione concreta, accompagnate dalla sola allegazione materiale del certificato della parità di genere (dal quale “non è certamente dato evincere quale degli accorgimenti o assetti aziendali ovvero quali delle risorse dell’impresa ausiliaria che hanno a questa consentito di conseguire la certificazione abbiano formato specifico oggetto dell’avvalimento”), non consente di ritenere soddisfatto il requisito della specificità richiesto, a pena di nullità del contratto di avvalimento, dall’art. 104, comma 1, secondo periodo, del d.lgs. n. 36/2023.
Del resto – prosegue il Collegio – anche a voler prescindere dalla riconducibilità dell’avvalimento in questione alla categoria di conio pretorio dell’avvalimento operativo, “non può tacersi che proprio la peculiare natura dell’avvalimento premiale della certificazione della parità di genere richiede un vaglio attento del requisito della specificità (…) al fine di evitare forme abusive di avvalimento puramente cartolare in grado di alterare più che di promuovere (…) il gioco della concorrenza”.
Una severa verifica della specificità dell’oggetto si ricollega, dunque, all’esigenza di garantire che sia effettivamente perseguito l’obiettivo avuto di mira dal legislatore con l’art. 108, comma 7, ultimo periodo, ovverosia la promozione dell’inclusione e della parità di genere nel settore delle commesse pubbliche.
Sotto altro e distinto profilo, l’orientamento in esame (così T.A.R. Piemonte, Sez. I, 19 febbraio 2025, n. 359; T.A.R. Toscana, Sez. I, n. 1026/2025, cit.) ha affermato che il prestito delle risorse, con la messa a disposizione effettiva del personale e delle procedure necessarie per monitorare e garantire il rispetto delle regole di parità, può avvenire anche per il tramite di un operatore economico che risulta operativo in un settore che non coincide con quello oggetto dell’appalto.
E ciò in quanto la certificazione della parità di genere attiene a scelte e a modalità di tipo gestionale e organizzativo, che sono trasversali rispetto ai singoli settori di operatività del soggetto certificato. Inoltre, è da escludere che la diversità del settore di attività dell’ausiliaria e dell’ausiliata possa costituire a priori un vulnus per le esigenze presidiate dalla certificazione sulla parità di genere, dal momento che le Linee guida prevedono, per ogni indicatore di performance (c.d. KPI), un punteggio che viene ponderato in relazione all’area ATECO di appartenenza dell’azienda, ragion per cui vi è la possibilità di verificare in concreto quali sono i valori di riferimento dell’inclusione del lavoro femminile nell’organizzazione aziendale[7].

Brevi considerazioni conclusive

In attesa della pubblicazione della pronuncia con cui la V Sezione del Consiglio di Stato definirà il giudizio in appello promosso per la riforma della sentenza del T.A.R. Marche n. 862/2024 (R.G. n. 1163/2025, con udienza pubblica discussa lo scorso 5 giugno), la VI Sezione si è espressa a favore dell’ammissibilità, alla luce del diritto interno ed euro-unitario, del ricorso all’istituto dell’avvalimento per la dimostrazione del possesso del requisito premiale della certificazione della parità di genere, rimarcando l’esigenza di verificare severamente il requisito della specificità dell’oggetto del contratto di avvalimento.
Senonché, viste la rilevanza e l’importanza della tematica, dati gli obiettivi primari e superindividuali avuti di mira e considerato, altresì, il contrasto giurisprudenziale in atto, non è da escludere che la risoluzione della questione possa essere deferita, in un futuro non così lontano, all’Adunanza plenaria.
Un intervento chiarificatore dell’Adunanza plenaria, cui è assegnata una funzione nomofilattica, parrebbe quanto mai opportuno, se non altro per ragioni di certezza del diritto, dal momento che la questione è inevitabilmente destinata a riproporsi per via della previsione contenuta nell’art. 108, comma 7, ultimo periodo, del d.lgs. n. 36/2023, che impone alle stazioni appaltanti di indicare, nella disciplina di gara, il maggior punteggio da attribuire alle imprese per l’adozione delle politiche tese al raggiungimento della parità di genere, pena l’illegittimità in parte qua della legge di gara con conseguente caducazione, in caso di impugnazione, della procedura espletata (v. T.A.R. Puglia Lecce, Sez. II, 28 maggio 2025, n. 1013).

Note

[1] La certificazione – istituita a decorrere dal 1° gennaio 2022 “al fine di attestare le politiche e le misure concrete adottate dai datori di lavoro per ridurre il divario di genere in relazione alle opportunità di crescita in azienda, alla parità salariale a parità di mansioni, alle politiche di gestione delle differenze di genere e alla tutela della maternità” – viene rilasciata dagli organismi di valutazione della conformità accreditati ai sensi del Regolamento (CE) n. 765/2008 in conformità alla prassi di riferimento UNI/PdR 125:2022 e s.m.i., recante le “Linee guida sul sistema di gestione per la parità di genere che prevede l’adozione di specifici KPI (Key Performance Indicator – indicatori chiave di prestazione) inerenti alle politiche di parità di genere nelle organizzazioni”. Sul tema si veda anche il D.P.C.M. 29 aprile 2022, recante “Parametri per il conseguimento della certificazione della parità di genere alle imprese e coinvolgimento delle rappresentanze sindacali aziendali e delle consigliere e consiglieri territoriali e regionali di parità”, in G.U.R.I., 1° luglio 2022, Serie generale n. 152.
[2] Nella fattispecie in esame veniva in rilievo un contratto di avvalimento premiale interno a un costituendo RTI, stipulato dalla mandataria a favore della mandante, per consentire a quest’ultima (che era priva della certificazione della parità di genere) di migliorare la propria offerta. Il contratto di avvalimento prevedeva “una supervisione costante da parte dell’Ufficio Qualità di (…) sull’operato della società ausiliata, cui verranno messe a disposizione procedure, protocolli e tutta la consulenza necessaria al fine di assicurare, in concreto, il rispetto della parità di genere”, secondo quanto dettagliato nel contratto stesso.
Il Disciplinare di gara, dal canto suo, dopo aver regolato al punto 3.6. l’avvalimento, ricalcando sostanzialmente la disciplina contenuta nell’art. 104 del d.lgs. n. 36/2023, al punto 11 “Criterio m) – Certificazione della parità di genere di cui all’art. 46-bis del codice delle pari opportunità tra uomo e donna, di cui al d.lgs. n. 198/2006” chiariva che “ai fini dell’ottenimento del punteggio premiale di due punti, il concorrente deve presentare la certificazione in applicazione della prassi UNI/PdR 125/2022 (…)”, specificando espressamente che “in caso di RTI, consorzi, GEIE e reti d’impresa la certificazione deve essere presentata da tutti”. Secondo il Collegio, la previsione in esame, nel richiedere a tutte le imprese facenti parte del costituendo RTI la presentazione della certificazione, “implicitamente esclude la possibilità di ricorrere all’avvalimento migliorativo per l’ottenimento di questo punteggio”. La pronuncia è stata confermata, sul punto, da Cons. Stato, Sez. VI, 11 aprile 2025, n. 3117.
[3] Sentenza riformata da Cons. Stato, n. 5345/2025, cit.
[4] Nella controversia definita dal T.A.R. Lombardia Brescia, la possibilità di ricorrere all’avvalimento premiale per la dimostrazione del possesso della certificazione della parità di genere (e per il conseguimento del corrispondente punteggio premiale) era espressamente prevista dal Disciplinare di gara, che aveva subordinato l’ammissibilità dell’avvalimento premiale alla sola condizione che l’impresa ausiliaria assumesse “l’obbligazione di mettere a disposizione dell’impresa ausiliata, in relazione all’esecuzione dell’appalto, l’intera organizzazione aziendale, comprensiva di tutti i fattori di produzione e di tutte le risorse che, complessivamente considerate, hanno permesso il conseguimento della certificazione medesima”.
Secondo il Collegio: i) tale previsione “non è stata impugnata dalla ricorrente principale, la quale, pertanto, non è legittimata a dolersi della circostanza che, a suo dire, i contratti di avvalimento non sarebbero idonei a trasferire alle imprese ausiliate qualità soggettive intrinseche all’organizzazione aziendale delle imprese ausiliarie e come tali non trasferibili a terzi”; ii) la condizione posta dalla disciplina di gara è stata osservata, dal momento che le imprese ausiliarie si sono obbligate “a fornire e a mettere a completa ed incondizionata disposizione dell’impresa ausiliata, in relazione all’esecuzione dell’appalto, l’organizzazione aziendale, i requisiti, le risorse, il personale e le prassi e tutti gli elementi aziendali che complessivamente considerati hanno permesso il conseguimento delle certificazioni medesime, così come di seguito specificati (…)” e, segnatamente e per quanto di interesse in questa sede, “(…) – Responsabile parità di genere Sig.ra (…); – Sistema di gestione per la parità di genere UNI/PdR 125:2022”; “(…) – Politica per la Parità di Genere; – Piano prevenzione e gestione molestie sul lavoro; – Regolamento Comitato Guida; – Comitato Guida: (…)”.
[5]La società ausiliaria si obbliga a prestare e a mettere a disposizione tutta la propria organizzazione aziendale, comprensiva di tutti i fattori della produzione e di tutte le risorse che, complessivamente considerate, le hanno consentito di acquisire e mantenere la certificazione e, pertanto: A) l’organizzazione; le attività, incluse quelle di controllo della qualità e di audit; la progettazione, inclusi il piano d’azione, il piano strategico e gli obiettivi per il miglioramento; le tecniche operative; il know how ed i processi HR; il tutto conforme alla ed attuativo della certificazione di qualità: ossia in breve ogni elemento fondante la certificazione e concretamente applicato al servizio mediante i coordinatori, i responsabili di area e di strutture e l’assetto aziendale; B) il proprio personale idoneo all’esecuzione del servizio (…)”.
[6] Nel caso di specie, il contratto di avvalimento prevedeva la messa a disposizione dei “seguenti servizi di supporto e accompagnamento: Servizio di consulenza, da parte del Responsabile dei Sistemi di Gestione Integrata, rispetto alla materia oggetto di avvalimento, per una durata non inferiore a 2 ore mensili, per l’intera durata dell’appalto; Documenti predisposti al fine di ottenere e di mantenere la certificazione oggetto di avvalimento; Piena accessibilità, garantita dall’impresa ausiliaria all’impresa ausiliata, all’intero sistema di gestione rispondente a quanto richiesto dalla prassi UNI/PdR 125:2022; Esecuzione di n. 3 audit indipendenti, eseguiti dall’impresa ausiliaria nei confronti dell’impresa ausiliata, al fine di valutare il raggiungimento dei KPI da parte di (…) rispetto a quanto previsto dalla prassi UNI/PdR 125:2022”.
[7] Nel caso definito dal T.A.R. Toscana con la pronuncia n. 1026/2025, cit., era emerso che “nel settore in cui opera l’ausiliaria (Istruzione, sanità e altri servizi sociali) i valori di riferimento dell’inclusione del lavoro femminile nell’organizzazione aziendale sono ordinariamente più elevati rispetto a quelli che contraddistinguono il settore dell’ausiliata (Costruzioni), come si evince anche dal prospetto esemplificativo di KPI per settore industriale contenuto nell’appendice B delle citate Linee guida”.PremessaPremessa
La sentenza della VI Sezione del Consiglio di Stato n. 5345 del 18 giugno 2025 consente di soffermarsi sul contrasto che si riscontra in giurisprudenza in merito alla possibilità di ricorrere all’avvalimento premiale per sopperire alla carenza del possesso della certificazione della parità di genere di cui all’art. 46-bis del d.lgs. n. 198/2006[1] (c.d. Codice delle pari opportunità tra uomo e donna), al fine di migliorare la propria offerta e conseguire il punteggio tabellare previsto dalla lex specialis di gara.
Il contrasto interpretativo in atto
Ad avviso di un primo orientamento, la certificazione della parità di genere non può costituire oggetto di avvalimento (cfr. T.R.G.A. Bolzano, 4 novembre 2024, n. 257[2]; T.R.G.A. Bolzano, 20 febbraio 2025, n. 54[3]; T.A.R. Campania Napoli, Sez. II, 23 maggio 2025, n. 3963).
Le ragioni poste alle base di questo indirizzo sono le seguenti.
In primo luogo, la certificazione della parità di genere attiene a una condizione soggettiva (finanche etica) dell’operatore economico che concorre alla gara e, come tale, non può costituire oggetto di un contratto di avvalimento, non essendo assimilabile a una risorsa da mettere a disposizione di terzi, che, poi, la potrebbero impiegare nell’esecuzione di un lavoro, di un servizio o di una fornitura.
In secondo luogo, le politiche e le misure adottate dai datori di lavoro per ridurre il divario di genere all’interno delle singole realtà aziendali non si prestano ad essere efficacemente trasferite ad altre realtà, che potrebbero, in tesi, presentare maggiori o minori divari in settori e aree anche del tutto diversi tra loro. Inoltre, anche ammettendo che esistano realtà simili o sovrapponibili, l’eventuale ausilio (in termini di consulenza o di supervisione) fornito dall’impresa ausiliaria per stabilire quali siano le politiche e le misure più adatte e idonee per superare il divario di genere presente all’interno della struttura organizzativa della società ausiliata non sortirebbe alcun effetto utile, dal momento che il legislatore riserva queste valutazioni ad appositi organismi accreditati.
Un secondo filone interpretativo – cui aderisce la sentenza che si annota – ritiene, invece, che anche la certificazione della parità di genere possa costituire oggetto di avvalimento premiale, a condizione che venga messa a disposizione dell’impresa ausiliata l’organizzazione aziendale che ha consentito al soggetto ausiliario di ottenere la certificazione (così T.A.R. Marche, Sez. I, 7 novembre 2024, n. 862, sub iudice; T.A.R. Lombardia Brescia, Sez. II, 6 giugno 2025, n. 513[4]; T.A.R. Toscana, Sez. I, 10 giugno 2025, n. 1026).
Gli argomenti posti a fondamento di questo orientamento possono essere sintetizzati nei termini che seguono.
In primo luogo, occorre considerare che l’istituto in esame, di chiara derivazione euro-unitaria, mira a conseguire, nella misura più ampia possibile, l’apertura del mercato dei contratti pubblici a vantaggio non solo degli operatori economici (ivi incluse le micro, piccole e medie imprese), ma anche delle amministrazioni aggiudicatrici, ragion per cui “i giudici nazionali sono tenuti a prediligere, in sede interpretativa, anche al fine di garantire il cd. «effetto utile», le soluzioni ermeneutiche che ne consentano l’operatività o che, comunque, ne assicurino il più vasto campo di applicazione”.
In secondo luogo, occorre tenere a mente che il nuovo Codice dei contratti pubblici, superando il divieto giurisprudenziale formatosi nella vigenza del precedente quadro normativo, ha ammesso (e persino “liberalizzato”) l’avvalimento premiale c.d. puro; da qui, la necessità di interpretare in chiave necessariamente restrittiva, anche ai sensi dell’art. 14 delle disposizioni sulla legge in generale, i limiti all’operatività dello strumento, positivizzati dall’art. 104 del d.lgs. n. 36/2023, tra i quali non figura quello della certificazione della parità di genere.
In terzo luogo, non va dimenticato che il ricorso all’avvalimento è stato ammesso, purché vi sia l’effettiva messa a disposizione dell’intero complesso aziendale del soggetto al quale è stato riconosciuto il sistema di qualità (v. Cons. Stato, Sez. IV, 16 gennaio 2023, n. 502), anche in relazione alle certificazioni di qualità, genus al quale è sostanzialmente riconducibile anche la certificazione della parità di genere.
Quest’ultima, difatti, al pari delle certificazioni di qualità, non attiene al prodotto, ma al processo e attesta l’adozione, all’interno dell’azienda, di un sistema di gestione conforme a una specifica prassi di riferimento, la UNI/PdR 125:2022. Essa, pertanto, attiene all’organizzazione e ai processi aziendali e comprova che l’impresa ha prescelto un assetto in grado di assicurare l’inclusione e l’equità di genere. Ciò la rende “un attributo del compendio aziendale (inteso ex art. 2555 c.c. quale «complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa»), esportabile, come tale, nella sua oggettività da un’impresa all’altra” (cfr. Cons. Stato, n. 5345/2025, cit.).
Sempre secondo il Consiglio di Stato, “La vicinanza, pur nelle sue indubbie specificità, della certificazione della parità di genere (…) alla figura del «certificato di qualità» si percepisce (…) con chiarezza dalla simmetria con la formulazione letterale dell’attuale Allegato II.8 del nuovo Codice (che ha sostituito l’art. 87, comma 3, del d.lgs. n. 50 del 2016) il quale, al suo punto I, definisce il secondo come il «certificato rilasciato da un organismo di valutazione di conformità quale mezzo di prova di conformità dell’offerta ai requisiti o ai criteri stabiliti nelle specifiche tecniche, ai criteri di aggiudicazione o alle condizioni relative all’esecuzione dell’appalto»”.
Da ultimo, occorre tenere presente che l’art. 108, comma 7, ultimo periodo, del d.lgs. n. 36/2023 si limita a imporre alle stazioni appaltanti di prevedere, all’interno della disciplina di gara, un punteggio premiale legato al possesso della certificazione della parità di genere senza, tuttavia, prescriverne il possesso diretto; inoltre, se il legislatore avesse voluto introdurre un divieto di avvalimento premiale rispetto a questa certificazione lo avrebbe fatto in maniera espressa, intervenendo nella sede più opportuna e cioè sulla disciplina dell’avvalimento e non sulla disciplina generale dei criteri di aggiudicazione.
Poste queste premesse, l’attenzione deve necessariamente spostarsi (e concentrarsi) non tanto sul problema del prestito dei requisiti, quanto piuttosto sul contratto di avvalimento, che deve indicare nel dettaglio le dotazioni e le risorse prestate dall’ausiliaria in favore dell’ausiliata, non potendo ammettersi il prestito della sola certificazione quale mero documento e senza quel minimo d’apparato dell’ausiliaria in grado di dare senso al prestito stesso.
Così, nella vicenda definita dal T.A.R. Marche con la pronuncia n. 862/2024, la previsione, all’interno del contratto di avvalimento premiale, del prestito e della messa a disposizione dell’intera organizzazione aziendale, comprensiva di tutti i fattori della produzione e di tutte le risorse che, complessivamente considerate, hanno consentito alla società ausiliaria di acquisire e di mantenere la certificazione della parità di genere[5], è parsa, ex ante, aderire all’orientamento giurisprudenziale formatosi con riferimento all’avvalimento delle certificazioni di qualità.
Parimenti, anche nella controversia decisa dal T.A.R. Toscana con la sentenza n. 1026/2025, i giudici di prime cure hanno ritenuto che il contratto di avvalimento individuasse con sufficiente concretezza le risorse (in termini di personale, documentazione, know-how, prassi ed elementi aziendali) messe a disposizione dell’ausiliata[6], tant’è che neppure la parte ricorrente aveva mosso contestazioni al riguardo.
Di contro, nella fattispecie risolta dal Consiglio di Stato con la pronuncia n. 5345/2025, il contratto di avvalimento è stato giudicato nullo per genericità e indeterminatezza del suo oggetto.
Ad avviso del Collegio, in particolare, la previsione di formule di mero stile, prive di connotazione concreta, accompagnate dalla sola allegazione materiale del certificato della parità di genere (dal quale “non è certamente dato evincere quale degli accorgimenti o assetti aziendali ovvero quali delle risorse dell’impresa ausiliaria che hanno a questa consentito di conseguire la certificazione abbiano formato specifico oggetto dell’avvalimento”), non consente di ritenere soddisfatto il requisito della specificità richiesto, a pena di nullità del contratto di avvalimento, dall’art. 104, comma 1, secondo periodo, del d.lgs. n. 36/2023.
Del resto – prosegue il Collegio – anche a voler prescindere dalla riconducibilità dell’avvalimento in questione alla categoria di conio pretorio dell’avvalimento operativo, “non può tacersi che proprio la peculiare natura dell’avvalimento premiale della certificazione della parità di genere richiede un vaglio attento del requisito della specificità (…) al fine di evitare forme abusive di avvalimento puramente cartolare in grado di alterare più che di promuovere (…) il gioco della concorrenza”.
Una severa verifica della specificità dell’oggetto si ricollega, dunque, all’esigenza di garantire che sia effettivamente perseguito l’obiettivo avuto di mira dal legislatore con l’art. 108, comma 7, ultimo periodo, ovverosia la promozione dell’inclusione e della parità di genere nel settore delle commesse pubbliche.
Sotto altro e distinto profilo, l’orientamento in esame (così T.A.R. Piemonte, Sez. I, 19 febbraio 2025, n. 359; T.A.R. Toscana, Sez. I, n. 1026/2025, cit.) ha affermato che il prestito delle risorse, con la messa a disposizione effettiva del personale e delle procedure necessarie per monitorare e garantire il rispetto delle regole di parità, può avvenire anche per il tramite di un operatore economico che risulta operativo in un settore che non coincide con quello oggetto dell’appalto.
E ciò in quanto la certificazione della parità di genere attiene a scelte e a modalità di tipo gestionale e organizzativo, che sono trasversali rispetto ai singoli settori di operatività del soggetto certificato. Inoltre, è da escludere che la diversità del settore di attività dell’ausiliaria e dell’ausiliata possa costituire a priori un vulnus per le esigenze presidiate dalla certificazione sulla parità di genere, dal momento che le Linee guida prevedono, per ogni indicatore di performance (c.d. KPI), un punteggio che viene ponderato in relazione all’area ATECO di appartenenza dell’azienda, ragion per cui vi è la possibilità di verificare in concreto quali sono i valori di riferimento dell’inclusione del lavoro femminile nell’organizzazione aziendale[7].
Brevi considerazioni conclusive
In attesa della pubblicazione della pronuncia con cui la V Sezione del Consiglio di Stato definirà il giudizio in appello promosso per la riforma della sentenza del T.A.R. Marche n. 862/2024 (R.G. n. 1163/2025, con udienza pubblica discussa lo scorso 5 giugno), la VI Sezione si è espressa a favore dell’ammissibilità, alla luce del diritto interno ed euro-unitario, del ricorso all’istituto dell’avvalimento per la dimostrazione del possesso del requisito premiale della certificazione della parità di genere, rimarcando l’esigenza di verificare severamente il requisito della specificità dell’oggetto del contratto di avvalimento.
Senonché, viste la rilevanza e l’importanza della tematica, dati gli obiettivi primari e superindividuali avuti di mira e considerato, altresì, il contrasto giurisprudenziale in atto, non è da escludere che la risoluzione della questione possa essere deferita, in un futuro non così lontano, all’Adunanza plenaria.
Un intervento chiarificatore dell’Adunanza plenaria, cui è assegnata una funzione nomofilattica, parrebbe quanto mai opportuno, se non altro per ragioni di certezza del diritto, dal momento che la questione è inevitabilmente destinata a riproporsi per via della previsione contenuta nell’art. 108, comma 7, ultimo periodo, del d.lgs. n. 36/2023, che impone alle stazioni appaltanti di indicare, nella disciplina di gara, il maggior punteggio da attribuire alle imprese per l’adozione delle politiche tese al raggiungimento della parità di genere, pena l’illegittimità in parte qua della legge di gara con conseguente caducazione, in caso di impugnazione, della procedura espletata (v. T.A.R. Puglia Lecce, Sez. II, 28 maggio 2025, n. 1013).
 


[1] La certificazione – istituita a decorrere dal 1° gennaio 2022 “al fine di attestare le politiche e le misure concrete adottate dai datori di lavoro per ridurre il divario di genere in relazione alle opportunità di crescita in azienda, alla parità salariale a parità di mansioni, alle politiche di gestione delle differenze di genere e alla tutela della maternità” – viene rilasciata dagli organismi di valutazione della conformità accreditati ai sensi del Regolamento (CE) n. 765/2008 in conformità alla prassi di riferimento UNI/PdR 125:2022 e s.m.i., recante le “Linee guida sul sistema di gestione per la parità di genere che prevede l’adozione di specifici KPI (Key Performance Indicator – indicatori chiave di prestazione) inerenti alle politiche di parità di genere nelle organizzazioni”. Sul tema si veda anche il D.P.C.M. 29 aprile 2022, recante “Parametri per il conseguimento della certificazione della parità di genere alle imprese e coinvolgimento delle rappresentanze sindacali aziendali e delle consigliere e consiglieri territoriali e regionali di parità”, in G.U.R.I., 1° luglio 2022, Serie generale n. 152.
[2] Nella fattispecie in esame veniva in rilievo un contratto di avvalimento premiale interno a un costituendo RTI, stipulato dalla mandataria a favore della mandante, per consentire a quest’ultima (che era priva della certificazione della parità di genere) di migliorare la propria offerta. Il contratto di avvalimento prevedeva “una supervisione costante da parte dell’Ufficio Qualità di (…) sull’operato della società ausiliata, cui verranno messe a disposizione procedure, protocolli e tutta la consulenza necessaria al fine di assicurare, in concreto, il rispetto della parità di genere”, secondo quanto dettagliato nel contratto stesso.
Il Disciplinare di gara, dal canto suo, dopo aver regolato al punto 3.6. l’avvalimento, ricalcando sostanzialmente la disciplina contenuta nell’art. 104 del d.lgs. n. 36/2023, al punto 11 “Criterio m) – Certificazione della parità di genere di cui all’art. 46-bis del codice delle pari opportunità tra uomo e donna, di cui al d.lgs. n. 198/2006” chiariva che “ai fini dell’ottenimento del punteggio premiale di due punti, il concorrente deve presentare la certificazione in applicazione della prassi UNI/PdR 125/2022 (…)”, specificando espressamente che “in caso di RTI, consorzi, GEIE e reti d’impresa la certificazione deve essere presentata da tutti”. Secondo il Collegio, la previsione in esame, nel richiedere a tutte le imprese facenti parte del costituendo RTI la presentazione della certificazione, “implicitamente esclude la possibilità di ricorrere all’avvalimento migliorativo per l’ottenimento di questo punteggio”. La pronuncia è stata confermata, sul punto, da Cons. Stato, Sez. VI, 11 aprile 2025, n. 3117.
[3] Sentenza riformata da Cons. Stato, n. 5345/2025, cit.
[4] Nella controversia definita dal T.A.R. Lombardia Brescia, la possibilità di ricorrere all’avvalimento premiale per la dimostrazione del possesso della certificazione della parità di genere (e per il conseguimento del corrispondente punteggio premiale) era espressamente prevista dal Disciplinare di gara, che aveva subordinato l’ammissibilità dell’avvalimento premiale alla sola condizione che l’impresa ausiliaria assumesse “l’obbligazione di mettere a disposizione dell’impresa ausiliata, in relazione all’esecuzione dell’appalto, l’intera organizzazione aziendale, comprensiva di tutti i fattori di produzione e di tutte le risorse che, complessivamente considerate, hanno permesso il conseguimento della certificazione medesima”.
Secondo il Collegio: i) tale previsione “non è stata impugnata dalla ricorrente principale, la quale, pertanto, non è legittimata a dolersi della circostanza che, a suo dire, i contratti di avvalimento non sarebbero idonei a trasferire alle imprese ausiliate qualità soggettive intrinseche all’organizzazione aziendale delle imprese ausiliarie e come tali non trasferibili a terzi”; ii) la condizione posta dalla disciplina di gara è stata osservata, dal momento che le imprese ausiliarie si sono obbligate “a fornire e a mettere a completa ed incondizionata disposizione dell’impresa ausiliata, in relazione all’esecuzione dell’appalto, l’organizzazione aziendale, i requisiti, le risorse, il personale e le prassi e tutti gli elementi aziendali che complessivamente considerati hanno permesso il conseguimento delle certificazioni medesime, così come di seguito specificati (…)” e, segnatamente e per quanto di interesse in questa sede, “(…) – Responsabile parità di genere Sig.ra (…); – Sistema di gestione per la parità di genere UNI/PdR 125:2022”; “(…) – Politica per la Parità di Genere; – Piano prevenzione e gestione molestie sul lavoro; – Regolamento Comitato Guida; – Comitato Guida: (…)”.
[5]La società ausiliaria si obbliga a prestare e a mettere a disposizione tutta la propria organizzazione aziendale, comprensiva di tutti i fattori della produzione e di tutte le risorse che, complessivamente considerate, le hanno consentito di acquisire e mantenere la certificazione e, pertanto: A) l’organizzazione; le attività, incluse quelle di controllo della qualità e di audit; la progettazione, inclusi il piano d’azione, il piano strategico e gli obiettivi per il miglioramento; le tecniche operative; il know how ed i processi HR; il tutto conforme alla ed attuativo della certificazione di qualità: ossia in breve ogni elemento fondante la certificazione e concretamente applicato al servizio mediante i coordinatori, i responsabili di area e di strutture e l’assetto aziendale; B) il proprio personale idoneo all’esecuzione del servizio (…)”.
[6] Nel caso di specie, il contratto di avvalimento prevedeva la messa a disposizione dei “seguenti servizi di supporto e accompagnamento: Servizio di consulenza, da parte del Responsabile dei Sistemi di Gestione Integrata, rispetto alla materia oggetto di avvalimento, per una durata non inferiore a 2 ore mensili, per l’intera durata dell’appalto; Documenti predisposti al fine di ottenere e di mantenere la certificazione oggetto di avvalimento; Piena accessibilità, garantita dall’impresa ausiliaria all’impresa ausiliata, all’intero sistema di gestione rispondente a quanto richiesto dalla prassi UNI/PdR 125:2022; Esecuzione di n. 3 audit indipendenti, eseguiti dall’impresa ausiliaria nei confronti dell’impresa ausiliata, al fine di valutare il raggiungimento dei KPI da parte di (…) rispetto a quanto previsto dalla prassi UNI/PdR 125:2022”.
[7] Nel caso definito dal T.A.R. Toscana con la pronuncia n. 1026/2025, cit., era emerso che “nel settore in cui opera l’ausiliaria (Istruzione, sanità e altri servizi sociali) i valori di riferimento dell’inclusione del lavoro femminile nell’organizzazione aziendale sono ordinariamente più elevati rispetto a quelli che contraddistinguono il settore dell’ausiliata (Costruzioni), come si evince anche dal prospetto esemplificativo di KPI per settore industriale contenuto nell’appendice B delle citate Linee guida”.

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